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Senatore Stiffoni, lei fa parte, insieme con Castelli, del comitato amministrativo della Lega, quello che dovrebbe controllare i conti.

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Ciè sembrato molto strano, visto che c'era una delibera della Lega che stabiliva che per somme superiori a 150 mila euro avrebbe dovuto avere il nostro via libera». È la famosa delibera che Belsito avrebbe «taroccato». Dalle intercettazioni lei e Castelli siete più volte tirati in ballo come quelli che insistono per conoscere i conti e che vanno arginati... «In effetti noi abbiamo chiesto più volte di essere messi al corrente dell'amministrazione. Ma nessuno ci ha mai risposto. Anche quando Castelli andava di persona in segreteria non c'era possibilità di ottenere le carte». Belsito si rifiutava di darvele? «A me spesso diceva: "Non vi do niente". È per questo che per tutelarci abbiamo cominciato a mandare richieste formali con tanto di raccomdandata con ricevuta di ritorno». Avete avvertito della situazione la segreteria? «L'abbiamo detto tante volte ma mica potevamo prendere un mitra e minacciarlo. Abbiamo cercato in tutte le maniere la trasparenza, prima di entrare in Parlamento ho fatto il bancario per trent'anni, avrei saputo valutare quelle carte». Lei crede che Bossi sapesse come venivano spesi i soldi della Lega? «Lo conosco da 25 anni e so la vita che ha sempre condotto. La sua casa di Gemonio, giusto per fare un esempio, è modesta. Bossi ha sempre voluto soltanto la liberazione dei nostri popoli, non gli è mai interessato niente altro, non si è mai occupato di amministrazione, ci metto la mano sul fuoco». Mette la mano sul fuoco anche sulla «famiglia»? «Non la conosco, la famiglia. Buongiorno e buonasera con la moglie di Bossi, ho visto giusto qualche volta Renzo. Non posso dare giudizi». Crede che sia stato un errore candidare in Lombardia Renzo Bossi? «Ma allora Mario Segni non doveva fare politica perché c'era già stato il padre? O Craxi, La Malfa, Forlani? Non nascondiamoci dietro un dito». I suoi figli faranno politica? «Io la vedo così: prima devono studiare, poi devono trovarsi un posto di lavoro e solo dopo, semmai, possono fare politica. Il problema è che molti giovani politici hanno saltato dei passaggi». Come Renzo Bossi? «Questo lo dice lei». Nelle interecettazioni c'è anche scritto che lei avrebbe avuto dei soldi della Lega per sue necessità private. È vero? «Si parla di un unico bonifico di 40 mila euro, dato dalla segreteria federale della Lega alla segreteria di Treviso. Non è passato per me, è servito a pagare gli affitti arretrati di quella sede politica. Io non ho bisogno di soldi». Come finirà l'«affaire» Lega? «Intanto abbiamo cambiato tesoriere, ora c'è Stefani, aiutato da altri due leghisti. Guarderanno le carte e faranno chiarezza dal punto di vista amministrativo. Sul terreno politico, invece, credo che non dovremmo avere troppi timori anche se, ovviamente, ci saranno dei contraccolpi. L'importante è che la base ragioni a mente fredda, senza farsi prendere emotivamente dalla lettura delle intercettazioni». L'inchiesta la convince? «Posso dire che noi sappiamo distinguere benissimo i ladri dalle persone oneste. Ci pensiamo noi, prima della magistratura, a "bacchettarli". I pm stiano tranquilli».

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