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Un Paese che non vuole crescere

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Quello che accade intorno alla riforma del mercato del lavoro è sintomatico, secondo me, di un fenomeno destinato a plasmare la vita politica nei prossimi anni. Oltre alla sinistra, che naturalmente è contraria ad una riforma che la Cgil ritiene inutile e pericolosa, incredibilmente anche la Lega Nord manifesta contro una riforma che dovrebbe essere una bandiera per chi si batte per il cambiamento e la modernizzazione dell'Italia; inoltre la maggioranza dell'opinione pubblica appare tiepida se non ostile a questa riforma; i vescovi italiani ammoniscono dal rischio che la riforma intacchi la dignità delle persone e dei lavoratori, la Confindustria non sembra essere coinvolta direttamente nella questione e appare propensa a far prevalere il valore preminente della pace sociale. Insomma, la domanda alla quale dobbiamo a questo punto rispondere è la seguente: c'è qualcuno in questo nostro povero Paese a cui questa riforma interessi davvero? C'è ancora, oltre al Pdl, un fronte politico e culturale capace di promuovere e di difendere la necessità di una riforma da decenni auspicata da tutte le forze riformiste? C'è soprattutto un'opinione pubblica favorevole a un cambiamento effettivo del nostro Paese, di cui questa riforma non può non essere parte integrante? La risposta è no. Non sembri questa convinzione il riflesso di una visione pessimista. Mi considero assolutamente realista e con gli occhi bene aperti sulla realtà. Sembra proprio che questo Paese, dopo la parentesi rivoluzionaria e liberale di Berlusconi, si sia nuovamente adagiata in un apatico conservatorismo, in un fronte comune contro quello spirito riformista capace, come nel caso delle riforma del mercato del lavoro, di mettere davvero in discussione quei lacci che frenano lo sviluppo, che impediscono l'afflusso in Italia di capitali stranieri, che mantengono la frattura fra lavoratori iper-protetti e la precarizzazione dei giovani. Si ha come l'impressione che solo l'andamento dello spread induca le forze politiche a prendere decisioni sull'onda della drammatizzazione e dell'urgenza. Non appena però lo spread cala, per ragioni che nulla hanno a che fare con le ragioni vere e permanenti della crisi, tutti sembrano tornare a cullarsi e trastullarsi in un confortevole conservatorismo tinto sempre di nobili ideali. Ho il timore però che di qui a poco ci ritroveremo nel pieno di una crisi ancora più grave, destinata a mordere la carne viva del Paese, ancor più vicini ad un lento ma inesorabile declino dell'Italia.

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