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Fornero: riforma anche senza accordo

Il ministro del Lavoro Elsa Fornero

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Tecnici avanti tutta. Intanto Elsa Fornero. La piccola contestazione che la accoglie quando arriva nella sua Torino per l'inaugurazione della mostra «Fare gli italiani» non la commuove affatto. La riforma del mercato del lavoro va fatta. E presto. «Ascoltiamo tutti con serietà, ma non possiamo andare avanti a discutere all'infinito. Direi che il tempo limite è la settimana prossima. Questo è ciò per cui lavoro» spiega in serata, intervistata da Fabio Fazio a Che tempo che fa. Il ministro - pur avendo l'accortezza di evitare le bufere nate negli ultimi giorni da parole poi giudicate inappropriate per un tema così delicato - non usa mezzi termini: «Trovo difficile che le parti sociali vogliano chiamarsi fuori - ammonisce - ma credo che il governo dovrà proporre al Parlamento la riforma». Che tradotto da un accademico ormai quasi politichese, vuol dire che - con o senza accordo con le parti sociali - nel giro di pochi giorni l'esecutivo porterà la sua riforma alle Camere. Fiducioso e comunque deciso ad andare avanti è lo stesso Monti: «Credo e spero che l'incontro di martedì avrà successo» rilancia il premier, che però ammette: «Se le posizioni non fossero ancora abbastanza distanti, vorrebbe dire che la riunione conclusiva ha già avuto luogo con successo, invece deve ancora avvenire». Anche la Fornero giudica «positivo» il lavoro fatto finora. «Trovo sia difficile per le parti sociali. Soffrono, si lamentano. Confindustria si lamenta, il sindacato si lamenta. È la dimostrazione che stiamo lavorando non per una parte ma per il Paese e per il futuro», spiega. Certo la tensione è tanta. «Questa riforma è molto attesa - ammette - Dagli italiani, all'estero e dai politici. Forse c'è persino un carico eccessivo di aspettative». Lei, comunque, non intende finire nel tritacarne. Non si sente sotto esame. Ecco perché l'ipotesi di dare le dimissioni se non arriverà la riforma del lavoro «non è una questione della quale io mi stia occupando in questi giorni, non è all'ordine del giorno». Anzi, aggiunge allargando il campo: «Fino a quando c'è l'intesa piena nel governo sulle cose che dobbiamo fare, io il mio impegno ce lo metto», anche perché - precisa con un tono tra il severo e l'ironico: «Non sono il ministro solo dell'articolo 18. Fino a quando ci focalizziamo sul fatto che alcuni che sono dentro hanno le uscite bloccate è più difficile far entrare quelli che sono fuori. La cosa più importante è il dinamismo che vuol dire avere un facile accesso e un'uscita non bloccata». Così spiega ad esempio di voler eliminare gli stage post formazione: «Oggi ci sono ragazzi che non trovano altre forme di lavoro che non siano stage: lavoro a costo zero, senza remunerazione. Può essere formativo, ma quando hai finito gli studi lo stage non è più consentito. Chi lavora deve essere pagato. La flessibilità che costa poco finisce con l'essere molto utilizzata al di là delle persone - aggiunge - Prendi un lavoratore, lo usi e poi lo mandi via. La flessibilità deve costare un po' di più, l'impresa deve essere spinta ad usare un contratto che io vorrei chiamare "contratto dominante" che è il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato non blindatissimo». Non è finita. Il ministro ne ha anche per Sergio Marchionne. «O la Fiat resta in Italia ed è produttiva o deve trovare delle risorse. Una impresa deve essere produttiva e fare lavoro. La Fiat non è libera di fare quello che vuole, come tutti i cittadini, i lavoratori che fanno parte di un Paese, deve assumere comportamenti responsabili -attacca - Ma se il presidente e l'Ad mi dicono che hanno intenzione di mantenere gli impegni previsti io devo credergli». Adesso la palla passa ai sindacati. Il rischio è che il fronte si divida, con Bonanni che accusa la Cgil di non voler mediare sull'articolo 18 lasciando che «alla fine Monti decida da solo e lo faccia nel peggiore dei modi come è accaduto per le pensioni». Anche la politica torna all'attacco e Di Pietro ne approfitta per minacciare il ministro: «Si fermi o arriveremo allo scontro sociale».

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