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Un reato da definire meglio Ma chi lo dice rischia grosso

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Il presidente della quinta sezione penale della Cassazione, Aldo Grassi, e il sostituto procuratore generale Francesco Iacoviello rischiano grosso. I pezzi da novanta dell'antimafia giudiziaria e giornalistica sono scesi in campo per avere osato, rispettivamente, annullare la sentenza di condanna a Marcello Dell'Utri, sia pure disponendo un altro processo d'appello, con altri giudici ma sempre a Palermo, e avere criticato contenuto e confini troppo generici e ambigui del reato contestatogli: quello di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma rischiano grosso anche il presidente del Senato Renato Schifani, l'ex presidente della Camera Luciano Violante e l'ex vice presidente del Csm Carlo Federico Grosso. I quali con la loro esperienza giuridica, politica e istituzionale hanno osato condividere ieri l'opportunità, in vari interventi mediatici, di definire meglio un reato prestatosi ad applicazioni troppo spesso controverse. Contro il sostituto procuratore generale Iacoviello è insorto, fra gli altri, Giancarlo Caselli per sostenere che «per molto meno» altri magistrati sono incorsi in procedimenti disciplinari del Consiglio Superiore. Che è stato così implicitamente invitato ad occuparsene. Contro il giudice Grassi si è invece distinto Antonio Ingroia, il procuratore aggiunto antimafia di Palermo, al quale il Csm ha di recente rimproverato, sia pure alla solita acqua di rosa, di avere scelto la tribuna non certo neutrale del congresso del partito dei comunisti d'Italia per proclamarsi «partigiano» della Costituzione. Un rimprovero che, per quanto condiviso dal presidente del Csm, e Capo dello Stato, Ingroia ha naturalmente contestato scrivendone qualche domenica fa sul giornale del Pd l'Unità, come di una visione o interpretazione «burocratica» della figura e del ruolo del magistrato. Oltre ai rituali richiami a Giovanni Falcone, un magistrato peraltro che troppi difendono da morto dopo averne osteggiato da vivo le ambizioni e le idee, per esempio quella di separare le carriere dei pubblici ministeri e dei giudici, Ingroia è ricorso contro Grassi a questo strabiliante argomento: è amico ed estimatore di Corrado Carnevale. Un argomento già adoperato contro il presidente della quinta sezione della Cassazione dal giornale Il Fatto. Al quale evidentemente Ingroia non ha voluto lasciare l'esclusiva. Non sapevo, francamente, che la stima e l'amicizia di/per Carnevale, se corrisponde veramente al caso di Grassi, fosse diventato in questo Stato di ormai presunto diritto che è l'Italia un reato, magari assimilabile a quello d'altronde indefinito di concorso esterno in associazione mafiosa. Del quasi ottantaduenne Carnevale, che non ho personalmente avuto mai il piacere di conoscere e tanto meno frequentare, so innanzitutto che è un magistrato tuttora in servizio in Cassazione. Dove è stato reintegrato nel 2007, dopo inutili resistenze della corporazione, per recuperare legittimamente 6 anni, 6 mesi e 24 giorni di sospensione per un procedimento giudiziario, naturalmente di concorso esterno in associazione mafiosa, conclusosi con la sua piena assoluzione nel 2001. Di Carnevale, noto come «ammazzasentenze» per il rigore con il quale annullava quelle viziate da irregolarità, ricordo inoltre una intervista del luglio 2008 in cui si scusò per avere a suo tempo promosso magistrato, come presidente della commissione di concorso, Antonio Di Pietro. Che si è naturalmente speso anche ieri per la condanna di Marcello Dell'Utri. «Mi lasciai commuovere - disse Carnevale di quella promozione - dal suo curriculum. Era stato in seminario ed era di famiglia povero. Fu così che chiusi un occhio davanti ad alcune sue lacune». Non un occhio, ma tutti e due, almeno per l'approccio di "Tonino" con l'italiano, che lui stesso chiama «dipietrese».  

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