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Bersani si sfila La Fiom lo attacca

Il segretario del Pd Pierluigi Bersani

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Il Pd non parteciperà alla manifestazione indetta dalla Fiom per venerdì 9 marzo. Semplice, diretto, inequivocabile. Sarebbe bello fosse così. Ma quando si parla dei Democratici, quello che conta sono le sfumature. I dettagli. Ricapitoliamo. Una serie di esponenti di spicco del partito di Pier Luigi Bersani, su tutti il responsabile Economico Stefano Fassina, aveva annunciato la propria presenza in piazza accanto ai metalmeccanici della Cgil. Annuncio che aveva scatenato l'immediata reazione dell'anima più "montiana". Come è possibile, si chiedevano i critici, sostenere le ragioni della Fiom e allo stesso tempo il governo del Professore? Ai più, infatti, non era sfuggito che la piattaforma dello sciopero indetto per il 9 era marcatamente contro l'esecutivo. A quel punto Fassina aveva frenato rimettendo la decisione ai vertici. La scelta sembrava scontata, ma il Pd è una forza che ama dialogare, confrontarsi. Così, alla fine, il nodo è stato sciolto solo ieri mattina. Come? Il responsabile economico dei Democratici ha svolto una relazione durante la riunione della segreteria. Ha spiegato che il partito condivide la battaglia della Fiom per il ripristino della democrazia nelle fabbriche, in primis alla Fiat, e continua a lavorare per una riforma del mercato del lavoro che nasca da un'intesa tra governo e parti sociali, però... Serviva un «però» per risolvere la questione e cavare d'impaccio l'anima "cgiellina" del Pd. Fassina l'ha trovato nella scelta, annunciata dai metalmeccanici, di far parlare dal palco della manifestazione del 9 marzo un rappresentante No Tav. E siccome il partito è favorevole all'opera, è chiaro che non si può scendere in piazza. Ma a questo punto entrano in gioco i dettagli. Anzitutto la formula con cui il responsabile economico annuncia il cambio di rotta. «Ho ritenuto incoerente - spiega - la partecipazione». Insomma più che una decisione del partito si tratterebbe di una presa di coscienza personale. Tra l'altro, aggiunge, tutto questo avviene «nonostante la condivisione di alcuni dei problemi indicati dalla piattaforma dello sciopero generale». Non cade nello stesso errore, invece, Matteo Orfini, altro membro della segreteria che aveva annunciato la sua presenza in piazza: «C'è stata una discussione e abbiamo deciso tutti insieme». Anche lui, però, dà un colpo al cerchio e uno alla botte: «Non è vero che si tratti di una manifestazione contro il governo. Ma, detto questo, di fronte al fatto che la Fiom cambia la natura della manifestazione allora per noi diventa difficile partecipare. Se stanno alla piattaforma iniziale io continuo a condividerla e ci sarò. Ma se il corteo diventa un'altra cosa, allora è impensabile partecipare». Insomma il Pd non sarà in piazza, ma anche sì. E forse non ha tutti i torti il capogruppo dell'Idv alla Camera Massimo Donadi quando, intervistato da Affari Italiani, commenta: «Quello del Pd mi sembra più che altro un pretesto per non dividersi più che una ragione vera. Ma in ogni caso, se questa è la ragione, la rispettiamo». Tra l'altro ci sono ancora un paio di dettagli che dovrebbero far riflettere. Il primo è che tra le adesioni al corteo elencate sul sito della Fiom figurano anche quelle del senatore Pd Adriano Musi e del giornalista, scrittore e deputato democratico Furio Colombo. Il secondo che venerdì, a parlare di Tav, i metalmeccanici della Cgil hanno invitato Sandro Plano presidente della comunità montana Val di Susa e Sangone. Plano è iscritto al Pd anche se parte del partito piemontese chiede di non rinnovare la sua tessera. Anche per questo il leader della Fiom Maurizio Landini va all'attacco dei Democratici: «Trovo singolare che si consideri un pericoloso estremista il presidente della comunità montana della Val di Susa, per altro iscritto al Pd, che è stato sindaco ed è una figura istituzionale. Rispetto le decisioni di ogni forza politica, poi il Pd si assumerà le proprie responsabilità». Parole che suonano come un avvertimento. E oggi Bersani sarà da Monti con Pier Ferdinando Casini e Angelino Alfano. Sul tavolo anche la questione del lavoro.

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