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La lezione del Colle che non piace al Pd

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita ad Alghero

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Ufficialmente non si può e non si deve criticare il Capo dello Stato. Dopotutto è pur sempre un esponente di spicco del Partito Democratico. Ma tra gli uomini di Pier Luigi Bersani, da tempo, c'è malumore per le iniziative del Quirinale. In molti, ad esempio, non hanno gradito la sua gestione del dopo-Berlusconi quando Giorgio Napolitano ha di fatto commissariato il segretario Pd imponendo la propria linea in asse con Enrico Letta. Durante quel periodo, ogni volta che Bersani veniva convocato sul Colle, tra i Democratici scattava il commento ironico: «È stato chiamato non per consultazioni, ma per comunicazioni». Allo stesso tempo c'è chi pensa che il presidente della Repubblica sia stato troppo tenero con il «nemico» concedendo al Cavaliere la possibilità di far nascere un governo che sta portando avanti politiche «di destra» in continuità con chi lo ha preceduto. Così, privatamente, non mancano gli sfoghi. Che ieri, per la prima volta, sono diventati pubblici. O quasi. Il motivo scatenante è stata la lettera che Napolitano ha inviato al Parlamento criticando il "vizio" di presentare troppi emendamenti estranei alla materia di cui si occupano i decreti legge. Per il Capo dello Stato, ogni volta che un testo del governo arriva in Aula, diventa subito un contenitore nel quale inserire di tutto. Esempio concreto di questa prassi il decreto milleproroghe che proprio ieri è stato approvato dalla Camera. Il presidente della Repubblica non ha gradito e ha scritto ai presidenti dei due rami del Parlamento e al premier Mario Monti. Non è la prima volta che Napolitano stigmatizza l'uso "disinvolto" di alcuni meccanismi parlamentari. E su questo tema (e sullo stesso provvedimento) era già intervenuto nel febbraio dello scorso anno. La nuova lettera del Colle fa esplicito riferimento alla sentenza con cui pochi giorni fa la Consulta, parlando del milleproroghe, ha sottolineato i «paletti» che vanno rispettati: primo tra tutti quello di «obbedire» a una «ratio unitaria». Principio riassunto nell'articolo 77 della Costituzione che vieta «la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei». Napolitano sottolinea quindi «la necessità di limitare gli emendamenti ammissibili, in sede di conversione dei decreti-legge». E fa esplicito riferimento al testo appena approvato dove «sono stati ammessi e approvati emendamenti che hanno introdotto disposizioni in nessun modo ricollegabili alle specifiche proroghe contenute nel decreto». Insomma il Capo dello Stato non lo dice apertamente, ma in via di principio il milleproroghe potrebbe anche essere considerato nullo. A questo punto, però, nascono le domande: qual il senso del messaggio di Napolitano? Il vicepresidente del gruppo Idv Antonio Borghesi applaude e avverte: «Non è escluso che il Presidente possa bloccare la pubblicazione della legge di conversione sulla Gazzetta Ufficiale». Tutt'altro umore nel Pd. Appena Gianfranco Fini finisce di leggere la lettera in Aula, in Transatlantico si forma un capannello con, tra gli altri, il capogruppo Dario Franceschini, il suo vice Michele Ventura, il presidente del Copasir Massimo D'Alema. Lì a fianco un cronista dell'agenzia Dire ascolta e riporta parti della conversazione. Per i Democratici il messaggio sta a significare che «d'ora in poi i testi che arrivano dal governo non si toccano più». In particolare, sottolineano, sarà difficile chiedere un intervento (ad esempio la liberalizzazione dei farmaci) per liberare risorse da utilizzare su altri capitoli (ad esempio le pensioni). Insomma nel Pd non gradiscono affatto questo intervento del Colle che sembra voler stoppare una certa vena critica mostrata dal partito negli ultimi tempi. Ma pubblicamente non si può dire.

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