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La sanità va riorganizzata. Basta cercare capri espiatori

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Ogni tanto torna di moda una questione che procura sofferenza a tantissime persone esponendole, peraltro, anche a qualche grave rischio. Ci riferiamo alla confusione che regna nei posti di pronto soccorso di alcune località e in particolare a Roma. Ammalati tenuti sulla barella per 24-48 ore, altri che attendono 8-10 ore per essere visitati con quanta ansia e sofferenza per loro e per i rispettivi familiari è facile immaginare. Quella riportata in questi giorni dalla cronaca di Roma è una grande e irrisolta questione in larga parte del Paese e in particolare nel Centro-Sud. Noi stessi nel lontano gennaio del 1997, fummo vittima di questa confusione. Alle 18 di sera nella nostra casa di Roma fummo colpiti da un infarto gravissimo da noi stessi diagnosticato (siamo medici ospedalieri) e ci dirigemmo in un taxi al Policlinico Gemelli. Giunti in pronto soccorso un infermiere ci fece sedere su di una sedia a rotelle dicendoci di aspettare. Convinti dell'urgenza del caso chiedemmo a chi ci aveva accompagnato di spingerci con la sedia a rotelle dentro la medicheria dove c'erano i medici. Entrati, così, con un botto contro la porta urlammo ad alta voce «Sono Tizio e Caio, sono bypassato ed ho un infarto in atto». Avevamo appena finita la frase quando avemmo un arresto respiratorio subito affrontato con successo dai medici. Nessuno, dunque, più di noi conosce i rischi dei pronto soccorso quando sono «aggrediti» da un numero eccessivo di prestazioni. Ebbene le autorità preposte, innanzitutto quelle regionali, invece di comprendere il fenomeno vanno a caccia dei capri espiatori tra gli operatori sanitari e amministrativi. Negli ospedali, come in tutti i luoghi di lavoro, possono esserci episodi drammatici per responsabilità colposa di medici, di infermieri o dei direttori generali. E di questi dovrà interessarsi la magistratura. Quando, però, il fenomeno è così diffuso come a Roma, a Napoli e moltissime altre città la questione diventa strutturale dell'organizzazione sanitaria sul territorio. L'eccessiva corsa ai posti di pronto soccorso è legata, innanzitutto, alla sostanziale inesistenza dei filtri delle strutture territoriali extraospedaliere. Non a caso circa la metà di quanti si rivolgono al pronto soccorso o arrivano a piedi o guidando la propria macchina. Questi cittadini, in larghissima maggioranza, sono quelli definiti con linguaggio ospedaliero, «codice bianco» e la stragrande maggioranza non verrà ricoverata. Affollano, però, i posti di pronto soccorso contribuendo alla confusione ma molte volte vengono ricoverati per accertamenti che potrebbero essere fatti seduta stante sempre quando gli ospedali fossero strutturati anche con un day hospital a fianco del tradizionale posto di pronto soccorso. Un day hospital per esercitare un filtro efficiente verso ricoveri inutili, dovrebbe, però, essere in condizione di eseguire in tempi rapidissimi accertamenti di laboratorio e di radiologia avendo alle spalle le necessarie strutture e l'altrettanto necessario personale. Tutto questo non c'è perché la cosiddetta politica del rigore tratta i cittadini ammalati come delle pratiche ministeriali e pertanto è stato bloccato il turn-over del personale anche negli ospedali per cui ogni 10 dipendenti che vanno in pensione se ne può assumere solo uno. Tanto per capirci se vanno in pensione tre anestesisti, tre radiologi, tre chirurghi e un medico, il direttore di un ospedale chi dovrà sostituire? E chiunque dovesse essere scelto si creerà un disservizio che prima o poi andrà agli onori della cronaca. Ha ragione la presidente Polverini quando difende un piano di rientro con il taglio di 2500 posti letto ma sbaglia quando non trasferisce negli ospedali «superstiti» i rispettivi team medici ed infermieristici negli altri ospedali. La riduzione dello spazio letto produce ad un tempo risparmio ed efficienza sempre quando aumenta lo spazio lavoro. Diversamente produce disastri. Gli ospedali dovrebbero funzionare per almeno 12 ore al giorno nei reparti di degenza raggiungendo così un livello di produttività altissimo abbattendo costi generali (centinaia di posti letto) e riducendo i tempi morti dei ricoveri ospedalieri. Per fare tutto questo, però, occorrono attrezzature moderne nella diagnostica e il raddoppio delle equipe sanitarie. E se per caso, dopo i trasferimenti del personale degli ospedali chiusi, ci fosse necessità di nuovi investimenti questi si trasferirebbero in risparmi notevoli ed efficienza maggiore in un tempo brevissimo. Un solo esempio. All'ospedale Tor Vergata, struttura nuova e avanzatissima nelle attrezzature e nel personale, oltre che nella distribuzione degli spazi, c'è una torre, la numero otto, che ha già 5 sale operatorie pronte che non possono funzionare per mancanza di personale e dal 2006 la Regione non dà le risorse necessarie per gli arredamenti e per il personale. Il risultato è un pronto soccorso intasato e pieno di barelle. Questo modo di fare produce risparmio o spreco? Spreco, a nostro giudizio, e con esso caos nei pronto soccorso con tutto quel che ne consegue. Ne tengano conto tutti, dalla Regione, dai cittadini alle procure.  

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