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La scelta di essere marginali

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Presentazione della candidatura di Roma per le Olimpiadi 2020

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Cari lettori, qui a fianco Marlowe sostiene che il premier Mario Monti abbia fatto bene a dire di no alle Olimpiadi a Roma. Le argomentazioni del nostro editorialista sono mostruosamente corrette, difficile confutarle sotto quasi tutti gli aspetti trattati. Tuttavia la sua cristallina esposizione non cancella la mia inquietudine. Perché dietro la decisione di Monti - che rispetto - vedo una gigantesca ombra. La vita non è fatta solo di numeri, partita doppia, arida contabilità, ma di idee, filosofia, visione, immaginazione e - siamo in Italia e non in Germania - geniale intraprendenza, estro creativo e tenacia. La vita è anche rischio e opportunità. La rinuncia ai Giochi Olimpici del 2020 non è la sconfitta di Roma, come pensano gli spiriti ingenui. Questa città ha duemila anni di storia, sopravviverà anche a questo. Ciò che mi inquieta è che se la terza economia d'Europa non è in grado di partecipare alla corsa olimpica, allora siamo di fronte non a una crisi finanziaria, ma a qualcosa di più profondo e letale: un buco nero della volontà. Monti si è comportato con ragionieristica precisione, ma ha anche certificato una visione del mondo che riduce la nostra esistenza a un'appendice delle pulsioni contabili di Berlino. Questo buco nero della volontà non ha inghiottito altri Paesi che pure hanno i loro serissimi problemi. Non ha agito così la Spagna che pur avendo un Pil proiettato dal Fondo monetario internazionale a meno 1,7% nel 2012, pur avendo subito l'altro ieri un declassamento del debito da A3 a A1 da parte di Moody's, pur avendo il tasso di disoccupazione più alto del mondo industrializzato (22,85%) ha messo in campo la candidatura di Madrid. Non ha agito così il Giappone che pur essendo da anni in recessione, pur con un sistema politico in grave crisi, pur avendo un debito pubblico pari al duecento per cento del Pil e pur dovendo fronteggiare i danni provocati all'economia da uno tsunami e un disastro nucleare ha presentato la candidatura di Tokyo. Non credo che giapponesi e spagnoli siano impazziti. Pensano in buona fede che le Olimpiadi siano un'opportunità. E provano a coglierla. Magari imparando dagli errori che sono stati commessi in altre edizioni. Ogni giorno le auto vanno fuoristrada. Ma non per questo si lascia l'auto per sempre in garage. Conosco l'obiezione: bisogna saper stare al volante. Vero. Ma proprio per questo il caso italiano è istruttivo, la scelta del governo è significativa perché credo fallisca proprio là dove Monti ha detto di voler agire: cambiare la mentalità degli italiani. Un vasto programma, ma proprio per questo bisognoso di una missione, di un obiettivo che abbia un contenuto «epico» rispetto a quelli visti finora. Non siamo di fronte a un problema di manutenzione contabile, di tagli e decreti per aprire le panetterie la domenica o attuare liberalizzazioni varie ed eventuali. La vita di un Paese, la sua dimensione collettiva, le sue aspirazioni fanno parte di una cosa chiamata «narrazione». Che non è l'atto di raccontare una storiella, ma il respiro e la visione di un popolo che cerca di disegnare il proprio destino. Organizzare un'Olimpiade fa parte di questa avventura. Le grandi vittorie si ottengono solo accettando il rischio della sconfitta. È una regola della vita alla quale si può sfuggire - basta rinunciare - ma la pena è poi quella di diventare la periferia di qualcuno che invece le sfide le coglie e le vince. A Monti do atto di aver avuto il coraggio di dire no, ma nello stesso tempo non ha avuto lo slancio per dire «sì, proviamoci, mettiamo a frutto il nostro talento, scriviamo subito regole per evitare gli errori del passato, facciamo squadra e mettiamoci in cammino». Sarebbe stato il suo programma ideale, quello che cambia la mentalità degli italiani e non dà la sensazione a una considerevole ed intraprendente parte del Paese che tanto qui non ci sia più niente da fare, che si debbano portare a termine «i compiti a casa» (dettati dalla Merkel) perché al nostro futuro provvederà lo straniero.

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