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Caso Lusi, Finanza al Senato

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Luigi Lusi in una foto del 2008 presa dal suo sito

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Il caso Lusi entra nel Palazzo. O per lo meno, ci prova. A provarci, in realtà, sono gli uomini della Guardia di finanza che, in mattinata, si presentano alle porte di Palazzo Madama per acquisire alcuni documenti bancari relativi al conto corrente intestato a «Democrazia è liberta» presso la Filiale della Banca Nazionale del Lavoro presente all'interno del Senato. Vengono subito bloccati, però. Perché privi della necessaria autorizzazione prevista dal Regolamento del Senato e dalla Costituzione. Mentre qualcuno comincia a gridare allo scandalo e alla mancanza di trasparenza della casta, tra i corridoi di Palazzo Madama nasce un vero e proprio caso. È, allora, Renato Schifani a intervenire. Il presidente del Senato invia una lettera alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari richiedendo un parere sulla regolarità di tale procedura. La Giunta si riunisce poco dopo - sono le 14.30 - ma al termine della riunione, il presidente Marco Follini spiega ai cronisti che una risposta può esserci solo sulla base di documenti: «Quando ci saranno dei documenti, degli atti, la Giunta risponderà con assoluta tempestività e all'insegna della massima trasparenza, perché - aggiunge - non può pronunciarsi su un caso astratto, ma può rispondere sul merito della documentazione presentata». Dello stesso parere - quasi stranito dalla presenza dei finanzieri a Palazzo Madama - il vicepresidente Alberto Balboni, senatore del Pdl: «La giunta prenderà la sua decisione sulla base della richiesta formale che la Guardia di finanza presenterà, quando e se la presenterà», spiega. Poi, però, aggiunge: «Se la magistratura vuole acquisire dei documenti che non riguardano Lusi, ma la Margherita può acquisirli immediatamente: basta cambiare indirizzo e andare alla direzione generale della Bnl. Quella all'interno del Senato è solo un'agenzia». Nel frattempo è lo stesso Lusi a farsi sentire: prima si dimette dalla Giunta che sta esaminando il suo caso, di cui faceva parte («anche se non lo si vede da settimane», racconta Balboni), poi striglia i suoi: «Avrebbero dovuto perlomeno chiamarmi, ascoltarmi. E invece nessuno lo ha fatto. Avrebbero fatto una figura migliore - accusa, facendo riferimento alla decisione del Pd di cacciarlo dal partito - È un colpo al cuore, non possono girare il coltello nella piaga. È una questione di cuore», ripete. A fine giornata sono poi la presidenza del Senato e la stessa procura di Roma a fare chiarezza. «Nessuna richiesta di accesso a conti della filiale della Bnl di Palazzo Madama è stata avanzata alla presidenza del Senato», sottolinea Schifani. «La polizia giudiziaria delegata ha preso un contatto preliminare con il responsabile dell'ufficio questura del Senato» precisa in una nota il procuratore Giancarlo Capaldo, che sottolinea come «la procura di Roma non ha formulato alcuna richiesta di esecuzione del provvedimento al presidente del Senato». Tutto chiarito, insomma. O quasi. Che le Fiamme Gialle entrino in Parlamento o meno, all'appello mancano ancora quasi 13 milioni di euro.

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