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Il Pd boccia le preferenze. Udc all'angolo

Palloncini rosa in favore del Referendum

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«Il nuovo sistema elettorale dovrà evitare la frantumazione della rappresentanza parlamentare e mantenere un impianto tendenzialmente bipolare». Pdl e Pd non hanno dubbi: se bisogna mettere mano alla legge elettorale, lo si faccia, ma l'imperativo categorico che nessuno ha il coraggio di mettere nero su bianco e di non permettere al Terzo Polo di diventare determinante per la formazione di un governo. La quadra è stata trovata. Il punto di partenza per varare una legge elettorale quanto più condivisa possibile sembra esserci e a certificarlo è stato il vertice di ieri pomeriggio tra i due maggiori partiti seduti in Parlamento. Un incontro tra le delegazioni di Pdl e Pd costituite da Donato Bruno, Gaetano Quagliariello, Ignazio La Russa, Gian Claudio Bressa, Luciano Violante e Luigi Zanda, che unanimemente hanno concordato di «utilizzare quest'ultima parte della legislatura per procedere rapidamente a riforme idonee a dare credibilità e forza al sistema politico e istituzionale». E proprio in questa direzione si sono mossi mettendo sul tavolo delle trattative i temi della riforma istituzionale e della riforma elettorale ribadendo la necessità di collegare i due aspetti e di operare affinchè entrambe le riforme possano ottenere il più ampio consenso parlamentare». E così, nello specifico, «per quanto concerne le riforme istituzionali, si è discusso della possibilità di avviare il superamento del bicameralismo paritario, di ridurre il numero dei parlamentari, di rafforzare la stabilità di governo e il ruolo dell'Esecutivo in coerenza con i principi del sistema parlamentare. Mentre, per quanto attiene alla legge elettorale, si è convenuto sulla necessità di cambiare l'attuale sistema elettorale restituendo ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti». Fino a questo punto l'ufficialità di una nota congiunta. Ma tutto quello che sembrava dato per assodato poco dopo è stato messo in discussione e, come si poteva immaginare è stato proprio il tema delle "preferenze" a riaprire il dibattito. In mattinata infatti un vertice tra Pdl e Lega aveva già sancito i primi paletti per arrivare a una riforma elettorale condivisa. Nell'accordo raggiunto si prevedeva infatti non solo di alzare le soglie di sbarramento, ma anche il no alla reintroduzione delle preferenze. E poco dopo è lo stesso vicecapogruppo del Senato, Gaetano Quagliariello, a spiegare come si deve interpretare la dicitura «restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti»: «Non per forza significa preferenze. Vuol dire che l'elettore deve essere in grado di individuare il rappresentante e questo lo si può fare in tanti modi e comunque la Lega non considera di privilegiare il sistema delle preferenze». Pronto l'appoggio del Pd con Luciano Violante («Siamo assolutamente contrari al ritorno delle preferenze, che aumentano i costi della politica, premiano chi ha clientele e non sempre il merito») e con Bressa che corregge il tiro: «Quando noi diciamo di essere contrari alle preferenze intendiamo dire che preferiamo i collegi uninominali». Ma mentre il Pdl prima con la Lega e poi con il Pd inizia a gettare le basi per la riforma, l'Udc che teme di essere estromesso dai giochi, alza la voce. E lo fa con Teresio Delfino: «Sulla legge elettorale sono in corso manovre che rischiano di portare a un nuovo "papocchio". I cittadini vogliono scegliere in piena libertà i loro parlamentari, vogliono decidere». Perplessità che oggi il Terzo Polo potrà dimostrare proprio al Pdl in un vertice al quale ne seguiranno altri con le tutte le altre forze politiche. Tutte, tranne l'Idv. No grazie, da parte di Antonio Di Pietro, a «incontri da sottoscala».

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