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Lusi non lascia. Il Pd lo espelle dal gruppo

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Pier Luigi Bersani (S) e Luigi Lusi in una foto del 2008 presa dal suo sito ufficiale

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«Se volete mi dimetto. Fatelo voi il tesoriere, non ci tengo, troppe responsabilità». L'ha ripetuto spesso ai suoi colleghi Luigi Lusi, il cassiere della Margherita. Allora nel partito guidato da Francesco Rutelli non c'erano dubbi: non si poteva trovare migliore tesoriere di lui. Fedelissimo dell'attuale leader di Api, di cui era stato delegato alla Sicurezza ai tempi del Campidoglio, era piuttosto attento alle spese. Tanto che ancora adesso qualche collega di partito fa i conti: «Mi deve 400 euro. "Mancano i preventivi" mi disse, non posso farci niente». Nessuno avrebbe pensato che fosse capace di stornare 13 milioni di euro dal portafoglio del partito. «Faccio quello che mi dite voi, soltanto quello», ha precisato Lusi nell'ultima assemblea, a maggio. Ad Arturo Parisi, che s'era permesso di protestare per la mancanza del bilancio, aveva risposto piuttosto scocciato. È un tipo burbero, Lusi. «Voi sperperate, sprecate soldi, tocca sempre a me tenere tutto sotto controllo, ma che fatica», ripeteva. Tanti ne hanno descritto il rigore. I cordoni della borsa si allargavano solo se le pezze giustificative erano perfette e se lui, ovviamente, dava parere positivo. Anche se magari era Rutelli in persona ad aver richiesto quella spesa all'ultimo minuto. Un mastino. Per questo adesso gli ex Dl cadono dalle nuvole. La domanda che resta senza risposta è soprattutto una: come è possibile che nel partito nessuno si sia accorto che mancavano 13 milioni? Dal canto suo, Lusi non si dimette da senatore. Neanche dal Pd. Per questo il capogruppo a Palazzo Madama Anna Finocchiaro prima gli ha scritto una lettera rimasta senza risposta, poi, ieri, ha riunito l'ufficio di presidenza che ha deciso di escludere Lusi dal gruppo, di fatto di espellerlo. Ora spetterà al comitato dei garanti del Pd decidere se mandarlo via anche dal partito, dopo che due giorni fa il segretario Pier Luigi Bersani ha assicurato che «non si faranno sconti». Inevitabili i dissapori tra gli esponenti della ex Margherita. Ettore Rosato, responsabile della campagna per le primarie di Dario Franceschini, smentisce che l'ex segretario abbia ottenuto da Lusi 4 milioni per la corsa alla leadership del Pd, come l'ex tesoriere disse a Parisi. «La campagna - chiarisce - costò 249 mila euro e le entrate sono state tutte derivanti da contributi volontari di singoli parlamentari e cittadini». Parisi si dice convinto della risposta del capogruppo Pd ma insiste sulla volontà di avere chiarezza sull'opacità dei bilanci. E c'è chi, come la deputata Pd Simonetta Rubinato, propone una sorta di class action di iscritti e eletti, costituendosi parte civile al processo. Le polemiche divampano. «Già ieri avevo condiviso l'invito rivolto a Lusi dalla presidente Finocchiaro a fare un passo indietro e non ho cambiato opinione» dice Rosy Bindi a proposito della decisione presa dall'ufficio di presidenza del gruppo al Senato. «Ora andremo avanti anche a livello di partito. È stata già convocata la commissione di garanzia e prenderemo tutte le misure che prevede il nostro Statuto», aggiunge. Si fa strada l'idea di fare pressioni affinché l'ex tesoriere lasci Palazzo Madama. «Sono in conflitto di interessi a chiedere le dimissioni da senatore di Lusi. Gli subentrerei in Senato in quanto primo dei non eletti in Liguria - spiega Stefano Fassina - Ma di fronte ad una vicenda inaccettabile, non è possibile tacere per chi ha responsabilità politiche. Allora, chiedo le dimissioni di Luigi Lusi da senatore e mi impegno pubblicamente a non subentrargli al Senato e lasciare il seggio a Brunella Ricci, di Imperia, dopo di me nella lista. Donna e ligure». «Qualcuno, oltre Lusi, doveva sapere», si sente ripetere a Montecitorio. Nell'ultima assemblea celebrata dal Pd il problema della trasparenza sulla gestione del forziere della Margherita era stato sollevato, con la richiesta di effettuare una verifica sui bilanci. Verifica che, tuttavia, non c'è mai stata. Il tesoriere del Pd, Antonio Misiani, spiega comunque che «il Pd non aveva e non ha alcun titolo per determinare indirizzi e fare controlli sul bilancio della Margherita». Se il processo all'interno del partito sembra appena iniziato, in Procura la vicenda potrebbe avere una rapida conclusione. Rutelli, oggi leader di Api, guarda avanti. Anche se non mancano le stoccate contro di lui. Beppe Grillo non rinuncia ad attaccare: «La storia di Rutelli Pane&Cicoria è un romanzo d'altri tempi. Sedotto, tradito e derubato dal suo tesoriere, il colpevole per antonomasia in ogni partito che si rispetti».

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