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Ma le aziende rischiano il crac

Mario Draghi

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La maglia del pigiama legata attorno al collo e stretta alla ringhiera della scala interna. Così si è tolto la vita martedì un imprenditore 47enne residente nel Padovano. Era socio di una ditta che produce pannelli fonoassorbenti per autostrade. La società è in crisi da tempo: un'esposizione di oltre 4 milioni e la cassa integrazione per i 26 dipendenti firmata lo scorso dicembre in Provincia. L'ultimo di un lungo elenco di morti per crisi che nel 2012 è destinato drammaticamente ad allungarsi. Perché l'Italia sta fallendo, le imprese strozzate dalla crisi sono rimaste a secco di liquidità. Inutile bussare alla porta delle banche: non fanno più credito. Lo dimostrano i numeri di quello che ogni giorno somiglia sempre di più a un bollettino di guerra: ieri il Centro Studi di Confindustria ha calcolato che i prestiti erogati alle imprese italiane sono rimasti fermi a ottobre-novembre. La dinamica annua è scesa a +4,9% (+6,1% a maggio) e si è quasi azzerata per le piccole imprese. Non solo. A dicembre le condizioni sono deteriorate rispetto a settembre per il 49,7% delle imprese. Lo spread sull'Euribor è balzato a +2,4 punti (+3,1 per le piccole e medie imprese), facendo salire i tassi: 3,9% a novembre (3,0% a maggio), 4,6% per le pmi (da 3,7%). E aumenteranno ancora se il rendimento dei Btp resterà alto. Anche l'Abi, l'associazione delle banche italiane, è stata costretta ad ammettere che il credit crunch è tornato sebbene parli ancora di rallentamento: a dicembre, riferiscono le prime stime dell'associazione, i prestiti a famiglie e società non finanziarie sono risultati pari a 1.520 miliardi contro i 1.533 miliardi di novembre (-0,8%). La crescita tendenziale rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso è del 4,1%. Eppure solo a dicembre, stando ai dati di Bankitalia, i prestiti della Bce agli istituti del nostro Paese sono cresciuti di 56 miliardi rispetto ai 153 di novembre. Cifra raggiunta grazie ai 116 miliardi della maxi asta triennale all'1%. Soldi messi a disposizione degli istituti con facilitazioni, ma congelati nel salvadanaio di Francoforte. Intanto se i rubinetti del credito si chiudono, le imprese muoiono. L'anno scorso si è arrivati a 12.094 fallimenti (+7,4% rispetto al 2010), secondo gli ultimi dati Cerved. Colpa dell'insolvenza che si manifesta quasi sempre per la mancanza, o il ritardo, dei pagamenti e per la richiesta di rimborso da parte dei creditori finanziari, erario e banche. Nessuna di queste tre cause è migliorata nel 2011, anzi pagamenti sempre più lenti (il trend in questi ultimi 4 anni è quasi raddoppiato), erario scatenato nel recupero e stretta creditizia sono diventati un cocktail micidiale. Senza dimenticare che il credit crunch agisce soprattutto sulle imprese piccole con bassi rating e viene compensato nelle statistiche sul credito erogato dai maxi-finanziamenti a aziende medio-grandi e a società con buon rating. Di fronte a questi numeri stonano ancora di più le dichiarazioni del presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, in guerra contro l'authority bancaria europea (Eba), che ha smorzato le preoccupazioni sull'operatività della banche italiane: finanziandosi all'1% dalla Bce, possono poi reinvestire questa liquidità in titoli di Stato. Il giro di liquidità, in sostanza, sarebbe il seguente: le banche italiane hanno emesso e forse emetteranno altri titoli (garantiti dallo Stato) da dare in garanzia alla Bce; la Bce a fronte dei titoli ricevuti concede prestiti e quindi liquidità alle banche all'1%; con la liquidità le banche comprano Btp; le banche usano i Btp per darli a garanzia alla Bce per avere altri finanziamenti e liquidità; con la liquidità ricevuta danno finalmente credito alle imprese. «Questo giro non ha senso. Se alle banche serve liquidità usano i titoli che hanno già in portafoglio e se ne vogliono di aggiuntiva possono ancora emettere titoli con la garanzia dello Stato», commenta Fabio Bolognini, già vicedirettore generale di Unicredit Banca d'Impresa, poi responsabile delle pmi per Intesa e ora al timone della Linker srl, fondata proprio per assistere le aziende nella gestione dei rapporti con le banche e nella ristrutturazione del debito. I fondi presi all'1% a che tasso saranno girati alle imprese? «I tassi praticati attualmente sono tra il 6% e l'11% e mi risultano essere ancora in salita. In secondo luogo i titoli emessi dalle banche e quotati sul mercato per essere dati alla Bce sono di scadenza brevissima. Quindi o ne vengono emessi altri tra 3 o 6 mesi, oppure i Btp eventualmente acquistati andranno a rimpiazzare quei bond dati inizialmente e non generano alcuna liquidità aggiuntiva. Infine ricordo che la liquidità è stata auspicata dall'Eba e concessa dalla Bce proprio per non fare mancare credito all'economia reale». Le azioni legali dell'Abi contro l'Europa non interessano alle imprese. Che invece chiedono alle banche di essere più trasparenti e spiegare se intendono mettere sul mercato frutta e verdura a prezzi calmierati (quelli della Bce) o praticare tassi sopra la soglia di usura.

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