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Pd e Pdl alla prova dell'unità

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Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani, in ordine rigorosamente alfabetico dei cognomi, sono accomunati nei loro partiti, ma su posizioni rovesciate, dallo stesso problema. Che è quello di sostenere il governo tecnico di Mario Monti mediando in casa fra quanti vorrebbero di più, a favore del presidente del Consiglio, e quanti vorrebbero di meno, o addirittura togliergli la spina in tempo per andare alle elezioni anticipate a giugno: magari a bordo metaforicamente di qualche Suv, anche a costo di travolgere un po' di elettori e di schiantarsi contro il palo di una sonora sconfitta. Il Cavaliere ha cercato, o fatto finta, l'altro ieri di strizzare l'occhio alla linea del Suv dicendo di non vedere "frutti" sull'albero del governo tecnico, ma affrettandosi a catalogare fra i "paradossi" l'ipotesi di un ritorno al precedente scenario politico, perché continuano a mancare serie alternative a Monti. Al quale infatti lui non lesina incontri e telefonate di incoraggiamento, come lo stesso Monti ha tenuto a rivelare con l'aria di volerlo ringraziare e di comprendere il suo ruolo politico di leader carismatico del Pdl, affidato dalla scorsa estate alla segreteria di Angelino Alfano. Bersani ieri, nello stringato discorso di chiusura dei lavori dell'Assemblea Nazionale del suo partito, magari preparato anch'esso, come quello di apertura, seduto da solo al tavolino di un bar davanti a un bicchiere di birra andato a ruba nelle consumazioni telematiche dei suoi sostenitori e detrattori, ha dovuto scusarsi con i compagni veltroniani di partito. Che lo avevano trovato il giorno prima troppo tiepido verso il governo e le sue misure di liberalizzazione, sollecitando più convinzione ed entusiasmo nel sostegno, in concorrenza con il "senza se e senza ma" dell'Udc, o terzo polo, di Pier Ferdinando Casini. Al cui schieramento, e uomini, magari scelti fra alcuni degli attuali ministri tecnici, gli amici di Veltroni sembrano disposti anche a cedere o promettere nelle prossime elezioni la candidatura a Palazzo Chigi, in cambio naturalmente di un'alleanza, per quanto prevedibilmente indigesta ai vari Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. «Mi scuso se non sono stato chiaro», ha dovuto dire testualmente Bersani. Il quale tuttavia ai "senza sì e senza ma" di Casini a favore di Monti, e di quanti nel Pd vorrebbero imitarlo, ha voluto aggiungere il «senza tacere le nostre idee». Come reclamano dall'altra parte Berlusconi e Alfano un po' trattenendo i veltroniani, chiamiamoli così, del Pdl e un po' cercando di non fare uscire di strada, o peggio ancora, i patiti del Suv. La situazione interna del Pd, tuttavia, deve essere un po' più tesa e difficile di quella del Pdl se Bersani nella sua versione autentica, non in quella imitata da Maurizio Crozza con la solita bravura, ha chiesto ai suoi compagni di smetterla con la pratica che lui ha chiamato della "fragilità degli umori". E di decidersi a dare invece prova finalmente di "stabilità", sia di umori sia di linea, e direi anche di assetto interno di partito, visto che molti dei suoi compagni vorrebbero strappargli l'assenso o costringerlo a un congresso anticipato già nella prossima primavera. Stabilità fa rima con unità. Che non è solo la testata del giornale storico del Pci e delle sigle successive, compreso il Pd attuale con la componente ex democristiana di sinistra e il giornale "Europa", subentrato alla testata più famosa e prestigiosa de "Il Popolo". Ma l'unità - ha riconosciuto Bersani ricordando probabilmente certi inconvenienti dell'esperienza comunista - ha anche aspetti e significati "burocratici". Per cui il segretario del Pd ha chiesto a compagni e amici di dare piuttosto prove tangibili di "solidarietà". Che in effetti è un termine, e un concetto, persino abusato sul terreno sociale ma poco usato, e praticato, nei partiti e, più in generale, nella lotta politica, che si conduce di solito senza sconti e riguardi. Anche ora che la politica è in difficoltà e ha dovuto fare più di un passo indietro davanti a un governo tecnico. Un po' di solidarietà forse Bersani se l'aspetta, fuori casa, anche da Casini. Al quale probabilmente egli si riferiva l'altro ieri, nel discorso d'apertura dei lavori dell'Assemblea Nazionale, quando ha ammonito a «non prendere alle spalle il Pd in un passaggio delicatissimo del Paese», usando la tregua tecnica per tagliare l'erba sotto i piedi dei vicini.  

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