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Unicredit nella bufera va all'aumento di capitale a prezzi da saldo

La sede storica di Unicredit in piazza Cardusio

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Unicredit affronta l'appuntamento di domani con l'aumento di capitale in una situazione critica. Da quando ha comunicato (mercoledì scorso) le condizioni dell'operazione, ha inanellato sul mercato una serie di ribassi, in parte dati per previsti, data l'entità dell'aumento di capitale (7,5 miliardi) ma in percentuali tali da stupire, come ha ammesso lo stesso ad Ghizzoni. Il titolo nell'arco di tre giorni ha perso il 38% e probabilmente ha risentito di alcune valutazioni riportate dal sollevati dal Financial Times e dal Wall Street Journal. Gli investitori, secondo il quotidiano della City, temono che le banche della zona euro alla fine non riescano a raccogliere il capitale necessario per mettersi in sicurezza secondo le richieste avanzare dall'Eba (l'autorità di vigilanza europea ha imposto di rafforzare i patrimoni delle banche entro giugno, chiedendo uno sforzo da 115 miliardi). Non solo. Il Financial Times ha riportato la voce di un analista anonimo che ha detto di ritenere «poco salutare mettere soldi nell'affare Unicredit». Insomma sull'istituto di Piazza Cordusio si sta scatenando la speculazione alimentata ad arte dai quotidiani finanziari anglosassoni che soffiano sul fuoco. Tant'è che il Wall Street Journal paventa che Bank of America e Mediobanca potrebbero essere costrette ad intervenire in caso di insuccesso dell'operazione acquistando il 10% delle azioni. Tutte illazioni che si basano sul fatto che il prezzo di emissione di nuove azioni è stato scontato (ora incorpora ancora uno sconto di circa il 26% mentre era del 43% all'annuncio) ma non tengono conto che questa era una condizione necessaria per far digerire un aumento di capitale di importo record. Domani azioni e diritti verranno trattati separatamente e Borsa Italiana ne ha già rettificato il valore. I titoli ordinari si presentano alla riapertura con un valore di 2,622 euro mentre i diritti valgono teoricamente 1,359 euro. «Aspettiamo con fiducia l'avvio della fase di negoziazione dei diritti» ha detto l'ad Federico Ghizzoni dopo che nei giorni scorsi aveva già scommesso sull'adesione dei soci e del mercato. Gli impegni dei grandi soci ammontano a circa il 24% - più o meno 1,8 miliardi - ne restano altri 5,7 miliardi da reperire sul mercato. È immaginabile che Bank of Ammerica, Merrill Lynch e Mediobanca che coordinano il consorzio stiano già cercando qualche investitore non solo in Italia, Germania e Polonia e Austria dove sono previste le offerte al pubblico, magari in Cina o in Arabia. Non è tempo di take over (e Unicredit è peraltro protetta dalla norma statutaria che limita al 5% la partecipazione, pena il congelamento dei diritti di voto) altrimenti basterebbero 2,3 miliardi, alle quotazioni di venerdì, per prenderne il controllo. La capitalizzazione di Borsa infatti è scesa a circa 8 miliardi. Venerdì il titolo ha chiuso sotto i 4 euro (-11,12%) e dall'annuncio del prezzo dell'aumento di capitale bruciando circa 4,5 miliardi di capitalizzazione, praticamente oltre la metà di quanto si appresta a chiedere al mercato da domani. Qualcuno deve averci già ragionato immaginando a questi prezzi un buon affare (venerdì sono passati di mano 115 milioni di pezzi pari a circa il 6% del capitale) e senza andar troppo lontano si guarda ai fondi già presenti in Unicredit. Sono quattro i Fondi sovrani che hanno una quota superiore al 2% (Norges Bank, Libyan Investment Authority, Central Bank of Libya e Libyan Foreign Bank, International Petroleum Investment Company) ma ci sono anche sotto la soglia di rilevanza 7 fondi cinesi e 12 arabi. Non mancano le polemiche tra i soci. Giovanni Puglisi, presidente della Fondazione Banco di Sicilia, ha definito «abbastanza discutibile» la tempistica della comunicazione dellecondizioni di aumento di capitale.

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