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Furbetti da 120 miliardi l'anno

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Quando vengono scoperti, accanto alla lunga lista di ville, macchine di grande cilindrata, barche e proprietà varie, la dicitura che compare è sempre la stessa: sconosciuto al fisco. Sono gli evasori totali, quelli che nella loro vita non hanno mai versato un euro di tasse. Al loro fianco gli evasori parziali. Quelli che, pur conducendo una vita da ricchi, denunciano redditi simili se non inferiori a quelli di operatori precari di un call center. È su di loro che si è concentrata l'attenzione dopo il blitz di Cortina. Quanti sono? Dove vivono? Sono più al Nord o al Sud? Descrivere il fenomeno tramite i numeri non è compito facile. Dell'evasione si sa, stando alle stime, che ogni anno sottrae alle casse dello Stato almeno 120 miliardi di euro. Più certezze arrivano dalla lotta al fenomeno. Nel 2010 l'Agenzia delle Entrate ha infatti incassato 10,2 miliardi mentre chiuderà il 2011 con 11 miliardi. E il direttore Attilio Befera ha già fatto sapere che, grazie ai nuovi strumenti inseriti nelle ultime manovre, il 2012 sarà ancora più ricco (si punta a quota 13 miliardi). Insomma l'evasione resta un macigno che pesa sulla nostra economia, ma lo Stato sta combattendo la sua battaglia. Lo fa, ad esempio, con la tassa sul lusso introdotta dall'esecutivo guidato dal premier Mario Monti nel decreto «Salva-Italia». Difficile, scorrendo le statistiche fiscale, non rendersi conto che qualcosa non funziona. Com'è possibile, ad esempio, che oltre il 42% dei possessori di barche siano contribuenti Irpef sotto i 20mila euro? A questi si sommano il 26-27% che, pur navigando con mezzo proprio, dichiarano un reddito tra i 20 e i 50mila euro. Ergo, solo il 30% dei «navigatori» italiani può definirsi ricco sotto il profilo fiscale. Stesso scenario per chi possiede un aereo: il 26%, dicono i dati, vivrebbe con meno di 20mila euro, mentre il 30% si attesterebbe tra i 20 e i 50mila euro. Ci sono poi i proprietari di macchine che superano la soglia di 185 chilowatt: il 31% dichiara meno di 20mila euro, il 36% tra 20 e 50mila. Insomma, anche a voler credere alla versione di chi descrive un popolo di poveri che vive al di sopra delle proprie possibilità, è difficile sottrarsi alla legge dei numeri. Anche perché, secondo il Rapporto del gruppo di lavoro sull'economia non osservata istituito presso il ministero delle Finanze e presieduto dal numero uno dell'Istat Enrico Giovannini, il mondo del sommerso incide sul Pil italiano per il 17%, cioè tra i 255 e i 275 miliardi di euro. Praticamente un quinto della ricchezza complessivamente prodotta dal Paese. Il rapporto prende in esame il "nero" senza l'economia criminale e informale (aiuti dei vicini, prestiti tra amici ecc.). Ebbene nel 2000 tutto questo era stimato tra i 216 e 228 miliardi (tra il 18 e il 19% del Pil) e la parte del leone veniva giocata dal lavoro irregolare. Otto anni dopo lo scenario è radicalmente diverso. A incidere di più, infatti, sono la falsificazione di costi e fatture. Stando alle stime il sommerso peserebbe per il 32,8% nell'agricoltura, per il 12,4% nell'industria, per il 20,9% nel terziario, per il 6,4% nel settore banche e assicurazioni e per il 56,8% su alberghi e pubblici esercizi. Tra il 2001 e il 2011, secondo la Cgia di Mestre, il lavoro della Guardia di Finanza avrebbe permesso l'emersione di oltre 260mila lavoratori in nero e di 81mila evasori totali e paratotali con recupero di imponibile pari quasi 50miliardi di euro. Ma la battaglia è tutt'altro che conclusa.

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