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Il Fisco non è colpa di Equitalia

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Gli attentati a Equitalia pongono un problema collettivo, non risolvibile con la solidarietà nei confronti di chi è bersaglio della violenza e delle intimidazioni. Condannare ogni forma di terrorismo è fin troppo facile. Sentirsi dalla parte degli uomini che vi sono stati esposti è doveroso. Ritenere Equitalia ingiustamente accusata per modalità di riscossione che non dipendono da decisioni societarie, ma da leggi dello Stato, è ragionevole. Tutto questo, però, è pura retorica, è parlare senza tenere conto della realtà, perché occorre aggiungere un dettaglio determinante: il modo in cui si chiedono soldi al cittadino e alle imprese non è conforme alle regole di uno stato di diritto, ma alle modalità operative del dispotismo. Equitalia è l'ennesimo animale misto: società per azioni, quindi di diritto privato, salvo essere posseduta per il 51% dall'agenzia delle entrate e per il 49 dall'Inps, quindi società statale. La sua funzione è virtuosa, riportando in mani pubbliche la riscossione dei tributi, come anche il guadagno che da quest'attività deriva. Bene. Assai meno bene, invece, che si presentino ai cittadini e alle imprese conti da saldare sull'unghia, senza prendersi la cura di spiegare da dove originano. Nella società digitale sarebbe giusto e necessario mettere ciascuno nella condizione di sapere, senza muoversi da casa, il come e il perché si pretendono dei soldi. Malissimo, poi, la legge che impone alla Pubblica amministrazione di non pagare il privato nei cui confronti Equitalia segnala delle pendenze negative. Malissimo perché tale negatività è dispoticamente dipendente solo ed esclusivamente dal giudizio di quella società, lasciando fuori dalla porta la giustizia. Quando ricevi la cartella di Equitalia puoi fare ricorso, ma in questo modo ti metti in coda ai cinque milioni di ricorsi pendenti. In attesa della discussione ogni pagamento pubblico nei tuoi confronti è sospeso, il che, per molte aziende, equivale ad una violenta intimidazione, a una non fronteggiabile concussione, talché si può essere indotti a rinunciare a un proprio diritto pur di non vedersi sequestrare quel cui legittimamente si aspira. Oppure si può procedere in modo diverso: paghi, attendi il giudizio e poi chiedi il rimborso. Con un po' di fortuna, entro una ventina d'anni rivedi i soldi che non avresti dovuto dare e che ti sono stati estorti. Nulla di tutto questo giustifica, neanche lontanamente, le lettere esplosive che hanno ferito dei lavoratori, o gli attentati. Gli autori di questi gesti si spera solo che siano individuati e indirizzati alla galera. Anche perché rischiano, con la loro rozza brutalità, di oscurare il punto più importante: un sistema di riscossione che umilia la dignità del cittadino, partendo dal principio che siamo tutti evasori e che, pertanto, dobbiamo scusarci e giustificarci agli occhi dell'esattore, laddove, al contrario, in uno stato di diritto il patto costituente si basa su capisaldi ben diversi: ciascuno di noi è onesto fin quando qualcuno non è in grado di dimostrare il contrario, davanti a un giudice terzo. È vero che Equitalia ha portato risultati migliori di quelli totalizzati quando quel lavoro lo facevano altri, come le banche, ma guai a credere che un risultato contabile compensi una devastazione giuridica. È vero anche che l'evasione fiscale è diffusa, sicché molto si dovrebbe colpirla, ma guai a credere che farlo alla cieca aumenti il senso di giustizia, laddove rischia di consolidare l'esatto contrario. Non mi meraviglia che dal mondo politico si tenda a tacere, circa il diffondersi della violenza contro gli esattori. Non mi meraviglia perché da quel mondo non dovrebbe giungere la solidarietà, bensì un più consapevole messaggio: siamo noi ad avere creato quel sistema, siamo noi i responsabili. Ciò presupporrebbe un coraggio e una lucidità che largamente difettano.  

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