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Stipendi ridotti, parlamentari in rivolta

L'aula di Montecitorio

Scontro in Aula sulle liberalizzazioni

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Ore 10, toilette della Camera dei deputati. Entra un parlamentare «influente», riconosce alcuni colleghi in fila ai vespasiani e sbotta: «Vi taglieranno anche quello!». Tutti capiscono la «sottile» ironia. Il dibattito si anima nel giro di un paio di secondi. «Ma non è possibile continuare così - fa un deputato eletto al Nord - Guadagniamo meno dei parlamentari europei. Loro si mettono in tasca almeno 21 o 22 mila euro al mese, noi 12». «Sì, sì - gli fa eco un ex membro del governo Berlusconi - Ti ricordi quando dicevano che guadagnavamo 15 mila euro e poi 17, poi addirittura 19? Finalmente tutti sanno che ne prendiamo 12 mila» (è lo stipendio di un deputato «semplice» che non ha altri incarichi, come vicepresidente d'Aula, segretario, capogruppo, questore. In questi casi il compenso lievita anche fino a 17 mila euro al mese). Passano ancora due minuti e il capannello s'ingrossa. Nei bellissimi bagni di Montecitorio si è aperto un vero e proprio confronto. Anche se tutti la pensano allo stesso modo. Si ferma pure un deputato che è appena uscito dalla barberia e ha i capelli brizzolati e un po' cotonati. «Ma non esiste! E adesso che ci vogliono tagliare? Fini e Schifani sono impazziti». Ecco la notizia. I parlamentari potrebbero essere costretti a rinunciare a 3.690 euro al mese. Si tratta della voce "Rapporto eletto-elettore". Soldi con i quali ogni onorevole dovrebbe pagare le spese di eventi politici e quelle di segreteria (il cosiddetto «portaborse»). Fini e Schifani vorrebbero tagliarli. Gli assistenti rimarrebbero ma sarebbero assunti direttamente da Camera e Senato, come succede in tanti Paesi stranieri e al Parlamento europeo. Anche per evitare che i parlamentari paghino i loro segretari male, magari pure in nero, e si tengano i soldi che avanzano. Succede anche questo. Ecco lo spettro che si aggira per Camera e Senato: l'abolizione del "Rapporto eletto-elettore". Del resto, visto che la legge elettorale ha abolito i collegi, tanto che per essere eletti basta avere una buona posizione nella lista bloccata del proprio partito, a che servono i fondi destinati alle iniziative politiche sul territorio? L'intenzione dei numeri uno delle Assemblee sembra ormai inevitabile. Dopo il mancato taglio delle Province e degli stipendi, contenuto nella prima versione della manovra scritta dal governo Monti, il presidente della Camera e quello del Senato hanno assicurato che prenderanno loro le forbici entro la fine di gennaio. Il collegio dei questori (tre onorevoli a Montecitorio e tre a Palazzo Madama) farà delle proposte, poi toccherà all'ufficio di presidenza decidere. La strada è ancora lunga. Ma il terrore già evidente. «Ma io sono di Parma - si sfoga un altro onorevole che si ferma nell'atrio della toilette - Che faccio, il mio assistente me lo porto a Parma e gli pago casa e ufficio? Ma dai. Non si può fare». «Maledetta antipolitica», gli fa eco un collega. «A questo punto bisogna abbassare lo stipendio anche a tutti i manager pubblici e ai direttori generali. E che paghiamo soltanto noi? Qui le Caste sono tante». Una soluzione ci sarebbe. La propone un deputato piuttosto noto: «Cambiamo le norme e leghiamo la nostra indennità non più a quella del presidente di Corte di Cassazione ma, appunto, a quella dei direttori generali». Significherebbe passare dagli attuali 5 mila euro netti dell'indennità a quasi il doppio. «Ottima idea. Bisogna proporla subito ai questori», dice uno dei parlamentari. Un altro annuisce mentre si lava le mani. «Sì, e Fini e Schifani ci stanno?» avanza dubbioso un deputato. «Vabbè, non saranno d'accordo ma mica decidono loro. C'è l'ufficio di presidenza». Insomma, nella toilette della Camera la quadra si è già trovata: «sistemare» gli assistenti facendoli contrattualizzare dal Parlamento e non dai singoli onorevoli, togliere 3.690 euro al mese ai parlamentari ma, nello stesso tempo, alzare loro l'indennità. Così non ci rimetterebbero niente. Anzi potrebbero anche guadagnarci. In piena logica gattopardesca: cambiare tutto affinché non cambi niente.

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