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Monti va avanti, l'Italia non si sa

Il presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti

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Mario Monti incassa la fiducia al Senato, che dà anche il via libera alla manovra economica, ottenendo 257 voti favorevoli e 41 contrari. Risultato che evidenzia, come è successo a Montecitorio pochi giorni prima, un calo statistico del 10 per cento dei consensi al governo da parte del Parlamento. Tra aut aut e avvertimenti, anche tra i partiti che lo sostengono. In occasione del suo insediamento l'esecutivo aveva ottenuto a Palazzo Madama 281 consensi (556 a Montecitorio poi ridotti a 495) . «Il decreto è legge e ne sono lieto», si limita a commentare il presidente del Consiglio che poco prima in Aula aveva spiegato nei dettagli il provvedimento e difeso le scelte compiute del suo Esecutivo. Un discorso che dà il via alla cosiddetta «fase due», una serie di interventi già preannunciati dall'esecutivo e mirati alla crescita e allo sviluppo. Le parole di Monti però non convincono la Lega Nord: «Il decreto non salverà l'Italia, anzi la affonderà», attacca il leader del Carroccio Umberto Bossi convinto che «l'esecutivo non arriverà al 2013». È di tutt'altro avviso il premier che davanti ai senatori indica la manovra come il provvedimento che consente all'Italia di «affrontare a testa alta la crisi». Il presidente del Consiglio entra nei dettagli del testo soffermandosi sulle novità (dalle deduzioni Irap al bonus per assumere lavoratori al Sud), invita i cittadini a «guardare con fiducia ai titoli italiani» e a «sottoscrivere Bot e Btp» e poi bolla come «ripetitivo e del tutto fuori luogo» lo slogan secondo cui «a pagare sono sempre i soliti noti». Non mancano poi nel suo intervento passaggi - a tratti anche taglienti - sul ruolo dei partiti che compongono la maggioranza. Il capo del governo non fa mai un riferimento diretto alle polemiche degli ultimi giorni ma osserva ironico: «Vorrei dire ai cittadini che l'appoggio che questo governo sta ricevendo è molto più grande di quello che i partiti lasciano credere». Già, i partiti. A votare contro sono solo Idv e Lega, ma anche gli altri negli ultimi giorni cercano in tutti i modi di smarcarsi dalle scelte difficili cui il governo costringe gli italiani. Votando la manovra «abbiamo scelto il male minore» ammette Silvio Berlusconi comunque pronto a ribadire il «sostegno compatto del Pdl all'attuale esecutivo». In Aula è solo la Lega a provocare momenti di tensione. Subito dopo l'intervento di Monti, l'ex ministro Roberto Calderoli si alza in piedi e mostra ridendo ai fotografi il pollice verso, gesto romano per eccellenza, mentre la truppa di parlamentari leghisti scandisce il primo coro di «Buu! Buu!». Monti, impassibile, prima li ascolta e poi scrive. Altro intervento che scatena la furia del Carroccio è quello del capogruppo Udc Giampiero D'Alia che punta il dito contro le contraddizioni della Lega accusandola di «disturbo bipolare della personalità» e di essere come «Mr. Jekyll e mr.Hyde». Grida, proteste, coretti e versacci si alzano dai banchi «padani» alla volta del senatore centrista. Ma la protesta continua anche quando prende la parola il pidiellino Nicola La Torre. Il vicepresidente del gruppo accusa la Lega di farsi «rapire dall'ebbrezza rivoluzionaria» solo davanti alle telecamere. Poi, quando queste si spengono, «eccoli pronti a votare per il mantenimento dei doppi incarichi e dei doppi stipendi di sindaci e senatori». Polemiche e strategie di partito a parte, la manovra adesso è legge. Pensioni e fisco sono i due pilastri su cui si regge: grazie ai risparmi e alle nuove entrate, anche a carico degli Enti Locali, garantiranno il pareggio di bilancio nel 2013 e le risorse necessarie per il terzo pilastro, e cioè quelle misure per la crescita che dovrebbero contrastare il calo del Pil. Una manovra complessiva, dopo le modifiche della Camera, di 34,9 miliardi nel 2014, di cui 21,4 di correzione dei conti. Quella delle pensioni è la grande voce di risparmio, 20 miliardi a regime nel 2018, con l'introduzione del metodo contributivo per tutti. In più viene accelerata l'equiparazione dell'età della pensione delle donne a quella degli uomini: dal 2018 sarà di 66 anni. Stretta sulle pensioni di anzianità: ci vogliono almeno 42 anni di contributi, e a regime chi lascerà prima perderà il 2% del trattamento ogni anno. Cresceranno i contributi per gli autonomi, che arriveranno al 25% nel 2018, per garantire loro un assegno più pesante. Per le pensioni d'oro maxi-prelievo del 15% oltre i 200.000 euro. Per far cassa nei prossimi due anni viene bloccata l'indicizzazione delle pensioni oltre la soglia dei 1.400 euro. Nel grande capitolo fisco, la voce di maggior impatto è l'anticipo di due anni, cioè dal 2012, dell'IMU, la vecchia Ici anche sulla prima casa. In più ci sarà una rivalutazione monetaria delle rendite catastale che renderà più pesante questo tributo per tutti gli immobili. Ci sarà una esenzione di 200 euro per tutti, che aumenta di 50 euro per ogni figlio, fino a un massimo di 400. Vengono anche tassate le auto di grossa cilindrata, le barche e gli aerei privati, con una imposta che calerà nel tempo e sarà compensata dall'incremento delle accise sulle sigarette fai da te.

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