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Quel voto che nessuno vuole

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È noioso, indigesto, stupido continuare a ipotizzare elezioni anticipate sapendo benissimo che non ci saranno. Da oltre un anno questa stucchevole manfrina ci viene propinata tutti i giorni. Il voto è sempre dietro l'angolo, ma non arriva mai. E non arriverà neppure dopo la manovra economica che abbiamo ingoiato. I partiti comunque, anche quelli che avversano apertamente il governo Monti, ne sono talmente consapevoli che, soltanto per tener desta l'attenzione sulle loro non esaltanti gesta, sono costretti a far trapelare inquietudini che potrebbero preludere alla fine traumatica della legislatura. Ma non è così come sanno i soliti opinionisti i quali scrivevano le stesse cose quando a Palazzo Chigi c'era il Cavaliere. La musica non è cambiata. E non sono mutate neppure le condizioni che impediscono un ricorso immediato alle urne. Il programma minimo di risanamento non può essere interrotto dalla stessa classe politica che ha reso inevitabile l'arrivo dei tecnici. Il rinnovo di un massiccio pacchetto (fino a duecento miliardi di euro) di titoli di Stato in scadenza tra febbraio ed aprile rende impossibile una campagna elettorale a meno di non voler far precipitare il Paese nel baratro. L'impossibilità da parte di chicchessia di mettere fine al tentativo Monti sapendo di andare incontro al disprezzo della gente è l'assicurazione sulla vita dell'esecutivo. E poi l'Europa. Chi, per conto dell'Italia, firmerebbe i nuovi Trattati a marzo: un premier sfiduciato con le valigie al piede? Cerchiamo di essere seri. La manovra non piace a nessuno. Temo non entusiasmi neppure chi l'ha scritta. Di certo i parlamentari che l'hanno approvata non l'hanno fatto con il sorriso sulle labbra. Alcuni hanno preferito defilarsi. Posizione comprensibile e non demonizzabile. Ma anche coloro che hanno opinioni diverse sulle misure adottate capiscono che esse sono parti di un disegno complessivo che potrà essere giudicato soltanto alla fine. Nel frattempo, il governo farebbe bene ad interagire con le forze parlamentari e smetterla con quel "voi" e "noi" che ha disturbato non poco coloro i quali hanno dato in meno di un mese il secondo voto di fiducia a Monti. La crisi la si affronta tutti insieme. Possibilmente senza che i "tecnici" ricordino ai politici di essere stati chiamati da loro stessi al capezzale della Repubblica e né questi di rendergli la pariglia facendo trapelare ogni tanto la possibilità di congedarli. Si può e si deve convivere pur senza amarsi. Civilmente, insomma. Il governo facendo ciò che è stato programmato e non discostandosi dall'incarico ricevuto; il parlamento provando a mettere insieme due o tre riforme istituzionali ed una legge elettorale soddisfacente in modo che i partiti possano affrontare il ritorno alla competizione democratica in un clima di rinnovata fiducia da parte dei cittadini. La politica, insomma, non è sospesa. A patto che le forze politiche utilizzino il tempo che manca alla fine della legislatura per rinnovare innanzitutto se stesse, costruiscano nuovi schieramenti, stringano alleanze durevoli, individuino leadership che possano farsi riconoscere nei mesi che verranno. Lo "stato d'eccezione", proprio perché tale, può essere ragionevolmente superato se si individua uno spirito nuovo fondato sulla coesione nazionale che non vuol dire bovino unanimismo su qualsiasi provvedimento il governo sottoponga alle parti politiche. La dialettica è indispensabile. Ma necessaria è anche la consapevolezza delle dimensioni della crisi che dovrebbe indurre tutti i soggetti ad un maggior senso di partecipazione introducendo nella vita pubblica per una volta in maniera non retorica la ricerca del "bene comune". Altro che elezioni anticipate.  

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