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Il lavoro è da liberare

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Il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero

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Il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha ribadito che non c'è tabù sulla riforma dell'articolo 18 e il contratto nazionale collettivo di rito sindacalconfindustriale non è un totem. Quando non piange, la signora Elsa ci piace, dimostra di essere coerente con quello che scriveva nei suoi articoli su Il Sole 24ore e ha ottime ragioni per sostenere una linea che sottoscriviamo. A dire il vero sono cose che da queste parti si scrivono da qualche decennio. Bisogna riflettere sul perché un grande Paese dell'Occidente come l'Italia non abbia fatto le riforme che servivano per liberare il mercato del lavoro dai limiti di una legislazione novecentesca. Nel 2011 siamo fermi all'archeodibattito sull'articolo 18 che non tutela nessuno: impedisce alle aziende di crescere e blocca la concorrenza del mercato del lavoro. Chi è disoccupato resta disoccupato, chi ha il posto fisso continua ad avere uno stipendio basso e incerto di fronte alla globalizzazione che chiede flessibilità e se non la trova delocalizza la produzione dove trova un fisco e un sistema istituzionale più convenienti. La riforma di queste norme è il vero spartiacque del Paese e soprattutto della sinistra. Il Partito democratico deve decidere se svincolarsi dall'abbraccio della Cgil o se continuare ad andare a rimorchio di un sindacato che esprime una cultura di antiquariato industriale, che non difende i posti di lavoro, non aiuta la crescita e produce disoccupazione. Attenzione, non penso che il sindacato sia inutile, che ai lavoratori non occorrano tutele, che gli ammortizzatori sociali non siano necessari, che gli industriali siano tutti buoni e illuminati, che lo Stato non abbia le sue colpe nella gestione della politica del lavoro, ma il pregiudizio ideologico ha un limite. E quello della sinistra e di un sindacalismo che cita Marx senza averlo letto (e capito) è la palla al piede del nostro sviluppo. L'Italia può decidere di continuare a voltarsi indietro, fare scioperi, sbandierare drappi rossi, indire manifestazioni, armare la vibrante protesta. Oppure può diventare un paese moderno dove l'impresa assume, licenzia, produce, paga stipendi adeguati e crea ricchezza. La prima scelta è un suicidio sicuro, la seconda per ora è una speranza.  

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