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Turarsi il naso. E votare tutto

Da sinistra il ministro del Welfare Fornero, il premier Monti e il ministro dello Sviluppo Passera

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Indro Montanelli soleva dire: «Turiamoci il naso e votiamo Dc». I partiti faranno esattamente così con il governo di Mario Monti e il suo decreto d'emergenza. Non hanno scelta. E lo sanno. Questi provvedimenti sarebbero dovuti entrare nell'agenda parlamentare un anno fa, quando la speculazione sul debito sovrano ha cominciato a galoppare e se ne vedeva il traguardo, ma i veti nella maggioranza e nell'opposizione rendevano impossibile l'operazione chirurgica sui conti. É chiarissimo ora che Monti sta facendo quello che nessun altro governo poteva fare per deficit di proposta e coesione politica. L'altro punto cristallino emerso dopo il consiglio dei ministri è che Monti sta acquisendo in fretta le armi retoriche della politica. La rinuncia allo stipendio da presidente del Consiglio è una mossa dettata dallo spirito di civil servant del Professore, ma è anche un formidabile argomento da opporre all'antipolitica e ai suoi avversari nel Palazzo. Una manovra senza condoni, senza un aumento diretto dell'Irpef, con una riforma previdenziale credibile e non dettata dai sindacati, un ritorno della tassazione sulla casa (c'è in tutta Europa), svincolata da un'asfissiante concertazione, è una rivoluzione. Con le lacrime del ministro Elsa Fornero? Nessuno è perfetto, anche i ricchi piangono, ma ai politici - anche quelli tecnici - non è concesso commuoversi. Mai vista Margaret Thatcher piangere. Ci sono cose che il Parlamento può correggere e i partiti - lo scrivo fin dall'inizio di questa drammatica fase politica - devono cogliere la palla al balzo per rigenerarsi e rigirare a proprio favore una manovra così difficile da gestire sul piano politico. Il Pdl può certamente rivendicare di aver contribuito a fermare l'aumento delle aliquote Irpef. È un risultato di eccezionale valore che Silvio Berlusconi e Angelino Alfano possono usare nella campagna elettorale che è già aperta. Il Pd può dire di aver convinto Monti e i suoi ministri a mettere una tassa sui capitali scudati, tema sul quale Bersani si era speso nei mesi scorsi e chi scrive aveva sollevato più volte. Anche questa misura ha una sua potenza comunicativa, basta saperla usare. Sono soltanto due esempi, ma bastano per far capire come anche con un governo d'emergenza, con un Parlamento non proprio popolato d'aquile e un quadro politico in movimento (le alleanze attuali sono in fase di ristrutturazione) la politica dei partiti abbia delle chance e spazi di manovra. Ci sono anche spazi per la demagogia, per l'assalto all'arma bianca, per l'opposizione populista, il gioco allo sfascio, il tanto peggio tanto meglio. Sono tutte posizioni legittime, ma hanno il fiato corto e si scontrano con la realtà di fatti che accadono con una velocità impensabile fino a pochi anni fa. L'Eurozona è vicina alla rottura, la moneta unica rischia di sdoppiarsi e trascinarci in serie B, il nostro debito è un problema per la stabilità dell'Unione europea. L'alternativa al governo Monti erano elezioni incerte con un caos finanziario certo e un depauperamento accelerato del risparmio degli italiani. Monti non ha ancora studiato una soluzione per il tema dei temi: la riduzione dello stock di debito pubblico e qui a Il Tempo sul tema abbiamo le nostre idee e le metteremo nero su bianco. Per ora facciamo tesoro della regola di Montanelli: con la sinistra turiamoci il naso e con la destra salviamo il portafoglio.  

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