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Marchionne e Fiat non lasciano l'Italia

L'ad della Fiat Sergio Marchionne

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Un giorno di ordinaria follia. Tra accordi che si chiudono, parole che vengono rilanciate e poi, quando la polemica è già esplosa in tutta la sua violenza, smentite. Non è strano se al centro del dibattito ci sono Sergio Marchionne e la Fiat. Ieri doveva essere la giornata in cui si chiudeva la vertenza di Termini Imerese. Con i sindacati soddisfatti dopo la mediazione del ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, e lo stabilimento che passava nelle mani della Dr Motor guidata da Massimo Di Risio. Invece a far notizia è stato, suo malgrado, l'amministratore delegato del Lingotto. In tarda serata, infatti, le agenzie di stampa battono alcune sue dichiarazioni. Si tratta di frasi contenute in un'intervista realizzata da Radio 24 il giorno prima a Washington, a margine di una conferenza organizzata dal «Council for the United States and Italy». Il messaggio è dirompente. Alla domanda se Fiat possa o meno lasciare l'Italia, Marchionne avrebbe risposto senza troppi giri di parole: sì, è possibile. Le reazioni sono immediate. «Marchionne è come una bomba ad orologeria, ogni volta che si fa un passo avanti riporta tutto indietro» tuona il segretario della Cgil Susanna Camusso. E dopo di lei arrivano il leader Fiom Maurizio Landini («dichiarazioni pericolose»), quello di Sel Nichi Vendola («Marchionne è l'espressione più retriva dell'arroganza padronale»), Antonio Di Pietro («Finalmente getta la maschera») e chi più ne ha più ne metta. C'è un solo problema: il numero uno di Fiat non ha mai parlato di lasciare l'Italia. O meglio, c'è un piccolo giallo. Il Sole 24 Ore-Radiocor, agenzia di stampa del gruppo di cui fa parte anche Radio 24, pubblica il testo dell'intervista all'interno del quale è presente la frase dello scandalo. «Che posso fare? - avrebbe detto l'ad - Se non ci sta più l'Italia cosa vuoi che faccia? Vendiamo macchine in Brasile, le vendiamo in Canada, in Messico, in Cina, da tutte le parti, non importa. Una soluzione la troviamo». Purtroppo, però, nella registrazione dell'intervista, disponibile sul sito della trasmissione America 24, tutto questo non c'è. E ha ragione la nota ufficiale di Fiat che, smentendo le frasi attribuite a Marchionne, sottolinea che l'amministratore delegato «ha testualmente affermato "la Fiat è una multinazionale. Gestiamo attività in tutte le parti del mondo. Abbiamo attività economiche e industriali al di fuori dell'Italia. Vendiamo macchine in Brasile, in Cina, in America, in Messico. La cosa importante è la sopravvivenza della Fiat che non può essere messa in discussione. Ci abbiamo messo otto anni per rimetterla in piedi. Abbiamo creato un'alternativa con Chrysler e non possiamo metterla in dubbio. Chiunque pensa di condizionare la Fiat si sbaglia». Insomma Marchionne non ha ipotizzato alcuna fuga, anche se il suo avviso alla sinistra sindacale è fin troppo chiaro. Nel resto dell'intervista, infatti, l'ad critica duramente l'atteggiamento della Fiom accusandola di insistere «sull'applicazione di un contratto che ormai non ha più senso». «Abbiamo avuto la maggioranza dei lavoratori che hanno appoggiato un'alternativa - spiega -. Il treno è passato, è inutile cercare di insistere che bisogna rinegoziare e riaprire il tavolo. Non posso rivotare fino a quando non vince la Fiom. C'è una tirannia della minoranza sulla maggioranza. La Fiat non può essere vittima di una minoranza. Non possiamo decidere con la maggioranza di fare una cosa e poi girarci e vedere una decisione presa altrove che è diversa. Io così non posso investire, parliamo di miliardi di euro non di aprire un supermercato». Insomma, la "fuga" non è in programma, ma di certo la Cgil e i suoi metalmeccanici non possono continuare a tirare la corda. Dopotutto anche sull'accordo raggiunto per Termini Imerese, il sindacato di sinistra si è mostrato tutt'altro che soddisfatto. La Fiom ha firmato pur parlando di «compromesso al ribasso» e ieri pomeriggio la Cgil ha sciolto solo all'ultimo le riserve sull'ingresso di Dr Motor al posto del Lingotto. Alla fine tutti si sono mostrati soddisfatti. Dei 1.566 lavoratori impiegati nello stabilimento 640 verranno accompagnati alla pensione (22.850 l'incentivo previsto per ciascuono dei quattro anni di mobilità), mentre gli altri 926 verranno assunti entro la fine del 2013, ovvero il periodo coperto dalla cassa integrazione straordinaria, dall'azienda guidata da Di Risio. Che ringrazia: «Termini Imerese sancisce la nascita della nuova Dr che abbandona la vecchia dimensione di assemblatore e diventa di fatto il secondo costruttore italiano di automobili».

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