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Il Cav, Bersani & C. Lui è lieto, loro mai

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Si direbbe che la situazione, a giudicare dai primi vagiti del gabinetto Monti e dalle prime mosse del Cav nella sua nuovissima veste di ex-premier dimissionato, permetta di vedere meglio quelle che restano forse le maggiori differenze fra lui e loro. Lui è lieto e simpatico come sempre, loro più funerei e uggiosi di prima. Lui sembra, come sempre, divertirsi un mondo a fare quello che fa, loro non sono mai apparsi più infastiditi e crucciati da quello che gli tocca fare. Lui rimane visibilmente soddisfatto e arcicontento di essere quello che è, loro sfoggiano tuttora i volti accigliati e le espressioni severe di creature condannate a sentirsi sempre in credito con la vita. Lui infine continua a non odiarli, loro invece lo odiano più di prima. Anni fa, esattamente nel 2005, un acuto e arguto osservatore di sinistra, il sociologo Luca Ricolfi, in un libro intitolato «Perché siamo antipatici», sostenne che la nostra gauche non poteva continuare a sottrarsi al dovere di tentare di smetterla di esserlo. Ma dai suoi ultimi movimenti, compresi i vacui e impettiti sermoni con cui nei giorni scorsi ha continuato a svolgere il suo concusto magistero all'ombra di questo nostro primo preteso governo tecnico, risulta che non ci riesce nemmeno quando vince. Tutto lascia del resto supporre che non abbia nessuna intenzione di incominciare a farlo. Occorre comunque ammettere che forse cessare di essere antipatica non le convenga affatto. Ragion per il vero problema non sono le ragioni per cui continua a essere antipatica bensì quelle per cui tanti suoi sottili ammiratori non hanno ancora capito che essa deve, sempre deve, fortemente deve essere antipatica perché se cessassse di esserlo non sarebbe più la sinistra. Per diventare simpatica (si è detto) basterebbe che si sbarazzasse di quel sentimento profondo della propria assoluta superiorità intellettuale, politica e morale che da tempo immemorabile le permette di sopravvivere allegramente a tutte le pernacchie con cui la Storia non cessa di premiare il suo indistruttibile anelito a servirla proponendosi sempre nel ruolo di salvatrice dell'umanità. Ma come potrebbe rinunciarvi se proprio questa pretesa è il suo connotato più necessario, il suo principale tratto identitario, il suo irrinunciabile specifico, ragion per cui liberarsene equivarrebbe a un suicidio? È insomma evidente che se finora nessun suo insuccesso, fallimento o crollo è mai riuscito a far vacillare nei suoi paladini la loro fede nelle proprie facoltà di interpreti e ostetrici della Storia, e se da ogni suo fiasco i suoi fedeli escono sempre più fermamente convinti di essere gli unici agenti del Vero e del Bene, le uniche autorità autorizzate ad assolvere e legittimare, quando occorre, ossia quando non sia possibile annientarli, i supposti agenti del Male, è perché sanno bene che non potrebbero ripudiare questa fede senza cancellarsi.   A queste gentili esortazioni a diventare simpatica la Sinistra nel suo interesse dovrebbe dunque reagire affrettandosi a rivelare la vera regione per cui lei, pur avendo potuto verificare da un pezzo che ogni volta che madama Storia l'ha messa alla prova sfidandola a realizzare i suoi miraggi ha fatto sempre cilecca, non può assolutamente privarsi di quella antipatia di cui la si invita a disfarsi. E questo perché sa che sotto di essa non c'è niente. E che perciò, mentre i tipi come il Cav. rimangono simpatici anche quando perdono, la sinistra rimane antipatica anche quando vince. Giacché lei o è antipatica o non è.  

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