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Insulti e osanna: la piazza stuzzica Silvio

Governo, folla davanti a Palazzo Chigi in attesa delle dimissioni del premier Silvio Berlusconi

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È stato un boomerang. Il falò acceso per bruciare la «strega-Cav» è invece diventato la benzina che gli ha dato la carica per sparigliare l'iter annunciato delle consultazioni al Quirinale e l'incarico a Monti. La sbornia fatta sabato sera dal popolo viola, l'addosso all'untore ha insomma innescato le contromanifestazioni di ieri e, soprattutto, l'inedito videomessaggio di Berlusconi. Rileggiamo un passo centrale del suo discorso televisivo. «Come avevo annunciato - ha ricordato da Palazzo Chigi - ho rassegnato le dimissioni da presidente del Consiglio. L'ho fatto per senso di responsabilità, per senso dello Stato, per evitare all'Italia un nuovo attacco dalla speculazione finanziaria, senza mai essere sfiduciato dal Parlamento, dove possiamo contare tuttora sulla maggioranza assoluta». Poi la constatazione amara, quella che il premier dimissionario ha rimuginato per tutta la giornata e probabilmente tutta la notte tra sabato e domenica: «È stato triste vedere che un gesto responsabile e, se permettete, generoso come le mie dimissioni sia stato accolto da fischi e insulti. Ma per le centinaia di manifestanti che erano in piazza, milioni di italiani sanno che abbiamo fatto in coscienza tutto il possibile per preservare le nostre famiglie e le nostre imprese dalla crisi globale che ha colpito tutti i Paesi avanzati». Già, i fischi e gli insulti. A iosa nella concitata giornata di sabato davanti a Palazzo Grazioli. E ancora a iosa nella serata sulla prima piazza d'Italia, quella del Quirinale. «Maiale, in galera», «Chi non salta/Berlusconi è», «Ora ad Hammamet» e giù lanci di monetine e il solito coro con «Bella ciao». La covava da anni, il popolo viola, la voglia di vendetta. Ma non ha capito - pur composto da tanti intellettuali, da tanti radical chic - che non è questo il momento del rancore e della gazzarra gratis. Il Capo dello Stato invita alla concordia e alla collaborazione, il professore bocconiano Mario Monti si accinge all'impresa di restituire all'Italia credibilità, l'Europa e il mondo ci guardano e noi che facciamo? Mettiamo in piazza l'ennesimo carosello scomposto. Mostriamo alle tv il cuore di Roma in stato d'assedio, con i poliziotti che tengono a bada la folla. Abbiamo un capo di partito, come Di Pietro, che sotto Palazzo Chigi fa il gesto dell'ombrello e poi a Ballarò copre di contumelie l'avversario politico e chiama Gianni Letta il suo Richelieu. E restiamo ostaggio del rito umorale che porta ad abbattere il simulacro del leader che immaginato sconfitto per sempre. Non c'è stato, il Cavaliere, al linciaggio morale coram populo. Il crucifige della folla contro di lui - uomo del predellino - gli è bruciato. «Raddoppierò il mio impegno in Parlamento» manda a dire col colpo di scena del videomessaggio. Arrivato ad orologeria, appena finite le consultazioni. E dopo una domenica in cui la piazza è ancora stata in fibrillazione. Ieri hanno ballato le opposte fazioni. «Per lavare l'onta» i militanti del Pdl si sono riuniti nel pomeriggio davanti al Quirinale. Erano giovani, si sono radunati dopo un tam tam via web. Alcune centinaia tra cui anche qualche parlamentare, come Rampelli e Marsilio, ma anche l'ex ministro Giorgia Meloni. «Elezioni subito», la richiesta urlata a Napolitano. E, «riadattando» lo slogan viola di sabato: «Chi non salta/ banchiere è». Maurizio Gasparri, che con Cicchitto stava entrando al Quirinale, ha commentato il clima da stadio con un «È la democrazia, non la bankocrazia». Proprio così, perché dall'altra parte della piazza c'erano gli antiberlusconiani. E gli slogan si sono incrociati, come frecce avvelenate. Non è durato molto. I berluscones in corteo improvvisato si sono diretti verso Palazzo Chigi, poi hanno deviato per Palazzo Grazioli, location per l'assedio viola sabato notte. «Silvio, Silvio», il richiamo tra bandiere tricolori. E Silvio è uscito, ha stretto mani, s'è preso un altro piccolo bagno di folla. Prima del videomessaggio.

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