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Berlusconi tratta l'uscita di scena

Silvio Berlusconi

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«Deciderà il partito». Alla fine Silvio Berlusconi lo dice chiaro e tondo ai senatori del Pdl nella sede del gruppo a palazzo Madama, nella sua prima uscita quasi pubblica dal giorno dell'annuncio delle dimissioni. Deciderà il partito, insiste il premier. Ed è la linea che ha esposto per tutto il pomeriggio ai big del partito che gli hanno parlato. Il Cavaliere sembra accarezzare l'idea del governo tecnico. Non gli dispiace affatto. Gli piace l'ipotesi di un periodo di decantazione che consenta al centrodestra di rigenerarsi, di darsi un volto nuovo e soprattutto di aspettare un momento migliore. Berlusconi è ancora convinto che nel prossimo anno la situazione economica volga al meglio e questo permetterà al Pdl di tornare a presentarsi col volto sorridente. Un periodo di decantazione serve anche al suo gruppo editoriale per riorganizzarsi perché pesantemente sotto attacco ormai da giugno, da quando sono cominciate a circolare le voci di una imminente condanna nel caso Mondadori: puntualmente arrivata all'inizio di luglio. C'è poi un'altra ragione, più profonda, e riguarda la sopravvivenza stessa del centrodestra. Qualunque esso sia. Spiega un berlusconiano in ottimi rapporti col Quirinale: «La nomina a senatore a vita era una condizione. Monti non vuole fare la fine di Giuliano Amato, a cui toccarono scelte impopolari e poi venne scaricato dalla politica almeno nel breve. Concessa la condizione, la lista del governo si farà sul Colle». Soluzione fantasiosa? Forse, ma i nomi che girano (da Campolini a Mosca Moschini passando per Saccomanni e De Gennaro) sono tutti di personalità molto vicine a Napolitano. Berlusconi in cambio chiede garanzie. Per il ministero della Giustizia e soprattutto per quello dello Sviluppo Economico, due pedine rimaste scoperte anche nei totoministri.La strada sarebbe quella di dare la fiducia al governo Monti (che potrebbe avere ministri tecnici e sottosegretari politici) e poi decidere voto per voto, atto per atto. Quello che il Cavaliere non si aspettava erano le resistenze nel partito. O almeno non se le aspettava così forti. E non provengono soltanto dagli ex An, ad eccezione dell'area Alemanno che tuttavia conta molto poco nel gruppo parlamentare alla Camera. Durissime sono le contestazioni dei suoi ultrà. Diceva uno ieri sera: «Ma come si fa ad andare al governo coi comunisti?». Al di là del tifo, politicamente ci si trova di fronte a un bivio che Mario Baccini riassume così: «Bisogna scegliere quale centrodestra per il futuro: ancora l'asse con la Lega o l'accordo con il centro?». Al voto subito è la prima scelta, il governo Monti la seconda. Di qui la scelta di presentarsi alla riunione dei senatori sebbene avesse una fastidiosa febbre a 39. «Ora è importante rimanere uniti e decidere dopo avere ascoltato tutti», spiega il premier. È ancora provato per il "tradimento" di alcuni: «È incredibile l'irriconoscenza di tanti, dopo quello che abbiamo fatto per loro», facendo riferimento a Gabriella Carlucci e Roberto Antonione. Di quest'ultimo racconta: «Non solo gli ho fatto fare il coordinatore di Forza Italia, e gli ho tenuto a battesimo il figlio, l'ho sostenuto quanto era dato per perdente. Alla fine invece ha tradito. E lo stesso si potrebbe dire per tanti». Della Carlucci si lascia scappare un amaro: «Ma come fa? Ha lavorato per anni a Mediaset...». Quindi lascia intravedere le sue mosse. Mette le mani avanti: «Siamo sotto la speculazione internazionale e il mondo finanziario ci dice che non possiamo reggere due o tre mesi in attesa delle elezioni». Certo, a suo giudizio «le elezioni sarebbero certo la scelta più limpida». E allora che fare? «La decisione» se appoggiare o meno un governo tecnico «deve essere presa dall'ufficio di presidenza» ma «se necessario, sarà chiamato in causa anche il Consiglio nazionale», promette il Cavaliere (ieri sera i senatori preferivano l'appoggio esterno). In realtà i tempi sono piuttosto stretti. Berlusconi si dimetterà domani e nella stessa giornata vedrà il gruppo alla Camera. Subito dopo si riunirà l'ufficio di presidenza del Pdl che l'ultima volta aveva dato mandato al segretario Angelino Alfano di salire al Colle per le consultazioni e pronunciare una sola parola: elezioni. A questo punto l'ipotesi secca è esclusa anche perché il Cavaliere non intende ripercorrere lo stesso errore del '94 e del '96, bocciando a priori prima il governo Dini e poi quello di Maccanico. Infatti in serata lancia proprio Dini, «uno di noi, visto che al Senato abbiamo i numeri». Per convocare altri organismi di partito, come direzione o consiglio (che comprendono centinaia di componenti), occorrono giorni se non addirittura settimane. Impossibile aspettare così tanto anche perché la macchina organizzativa sarebbe dovuta essere già in moto. Non a caso il Cavaliere ha già cominciato a giocare la carta di riserva: «Se andiamo alle urne perdiamo. Tutti i governi che sono andati a votare con la crisi hanno perso le elezioni». Per evitare questa argomentazione ci sono coloro che già si son detti contrari: Matteoli, Sacconi, Rotondi, Romani. Poi c'è Giuliano Ferrara che ha già organizzato una manifestazione "pro voto" per domani. Per decidere il tempo stringe e al Cav è rimasto davvero poco per convincere i suoi.

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