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Le poche novità di Cannes e la via d'uscita per l'Italia

G20 di Cannes: SIlvio Berlusconi, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e Barack Obama

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Dalla croisette di Cannes le poche vere novità hanno, paradossalmente, riguardato la Grecia e l'Italia. Non che ci facessimo illusioni, visti i precedenti di questi summit mondiali: siamo all'ennesima conferma della inazione del G20 di fronte alle bocche di fuoco dei mercati, delle banche d'affari, degli hedge fund. Se non è un ammainabandiera delle politiche pubbliche rispetto alla finanza globale privata, poco ci manca. Lo scontro finale tra Barack Obama e Angela Merkel è il suggello di un fallimento: il presidente americano insiste a chiedere che la Bce faccia lo stesso lavoro delle altre banche centrali. Che cioè si occupi di crescita più che di inflazione, e che modifichi il proprio ruolo a quello di prestatore di ultima istanza come esiste per ogni moneta, tranne l'euro. La cancelliera tedesca difende la concezione prussiana dell'Eurotower, mollata dal finora fedele Sarkozy. È nuovamente mancato l'effetto-bazooka chiesto dai governi anglosassoni per fronteggiare la crisi dei debiti ed il possibile credit crunch bancario. Il fondo salva-stati, il mitico Efsf, non vede ancora decollare la propria capacità a mille miliardi. La Bce non può intervenire se non sul mercato secondario. Ed il capo dello stato cinese Hu Jintao, al quale tutti i leader occidentali guardavano perché aprisse il portafoglio dei suoi fondi sovrani, ha assistito in silenzio alle chiacchiere ed ai buffet. Alla fine le borse hanno emesso il loro verdetto a suon di pesanti ribassi. Una buona sorpresa è venuta da Mario Draghi. Il nuovo presidente della Bce, contrariamente alle attese, ha ridotto il tasso d'interesse, dando la priorità alla crescita sull'inflazione. Ha agito all'americana, a costo di incrinare l'immagine teutonica che i media gli hanno cucito addosso; non si è fatto scrupolo di smentire da subito il suo predecessore Jean-Claude Trichet, che ha aumentato i tassi fino a luglio; così come fece nell'estate 2008, a poche settimane dal crac Lehman Brothers. Anziché di rimessa e in difesa, Draghi ha agito d'anticipo. Ma tra le poche novità abbiamo messo ciò che alla fine ha riguardato la Grecia e l'Italia. La tragedia ellenica si è risolta, per ora, con la cancellazione del referendum indetto da George Papandreu. Oggi sapremo se il premier sarà ancora in sella oppure uscirà di scena vittima del misto di amor proprio, bizantinismi e populismi nel quale è sprofondato. Certo, non deve essere piacevole vedersi chiamare a rapporto, la sera prima del galà di Cannes, dal duo Sarkozy-Merkel. Ma queste sono le guerre della nostra epoca, con i diktat travestiti da retorica europeista. La stessa cosa poteva accadere a Silvio Berlusconi, il quale invece è uscito più o meno dalla porta principale. Anche se ora per lui si apre un itinerario politico zeppo di incognite, ma di cui il Cavaliere può restare l'arbitro se agisce con raziocinio. Presentatosi a Cannes con l'agenda europea tradotta in maxi-emendamento, anziché in un decreto ad effetto immediato, è ripartito limitando i danni. La novità, e non da poco, è rappresentata dal monitoraggio al quale fin dalla prossima settimana il Fondo monetario sottoporrà il nostro paese, come ha annunciato la direttrice Christine Lagarde. Normalmente gli ispettori del Fmi si muovono sostituendosi ai governi quando viene concesso un prestito. Si sa che per noi è pronto un paracadute di 44 miliardi; così per la Spagna. Nell'Unione europea l'aiuto del Fondo è stato utilizzato negli ultimi anni dall'Ungheria e indirettamente, nel 2011, dalla Polonia. Per quest'ultima il Fmi ha attivato uno strumento nuovo, messo a punto nel 2009: la Flexible credit line. Una linea di credito, un fido che il beneficiario può utilizzare oppure no, ma che non è un prestito diretto. È quanto previsto per noi: l'Italia non ha chiesto prestiti, ma richiesto (più o meno obtorto collo) quello che Berlusconi definisce una certificazione trimestrale, citando ad esempio le agenzie di consulting. La differenza può apparire di lana caprina, ma esiste. Con il prestito il Fmi impone ad un paese le misure da prendere. Con la linea di credito verifica se quanto fatto va nel senso giusto e suggerisce oppure no se ricorrere al fido. Nel primo caso è il Fondo che decide, nel secondo valuta le decisioni prese. La perdita di sovranità è minore. Certo, per l'Italia esiste già il semi-commissariamento della Bce; ed ora ecco il Fmi. Una umiliazione? Secondo noi, realisticamente, dobbiamo accettarlo come il male minore. Anzi, come la miglior via d'uscita tra quelle possibili. È infatti dimostrato che da solo il Paese non ce la farebbe: né con il centrodestra, né ancora meno con la sinistra. A quale dei due schieramenti verrebbe in mente di modificare i contratti di lavoro, o per volare basso di liberalizzare gli orari dei negozi senza appellarsi a santi patroni e città d'arte? Piuttosto sarà interessante valutare le conseguenze politiche. Dall'agenda europea non si può derogare, e la vigilanza si fa più stringente. Il governo bene o male e con tutti i ritardi, l'ha messa in piedi. A sinistra c'è invece chi parla di macelleria sociale e muove la piazza. Il Cavaliere – o magari qualcun altro a lui vicino se decidesse il famoso passo laterale – può accettare il pilota automatico. Anzi, dovrebbe farne un programma elettorale. Ma il Pd? La Cgil? Certo, resta la terza ipotesi: il governo tecnico. Fino a pochi mesi fa il candidato era scontato: Giulio Tremonti. Ora togliete il tre e resta Monti. Ma la sinistra si svenerebbe per far fare al presidente della Bocconi il lavoro sporco su privatizzazioni e pensioni? E nel 2013 che cosa direbbero ai loro elettori Bersani, Vendola e Di Pietro?

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