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Andrea Ricacrdi «Mi volevo buttare nell'acqua, avrei voluto fare qualcosa di più, ma mi hanno trattenuto».

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Fuoridell'obitorio dell'ospedale San Martino, si dispera insieme ai parenti e al fratello, Flamur, 39 anni, l'uomo che ha perso moglie e due figlie. «È colpa mia, avrei dovuto fare qualcosa - dice - eravamo insieme, in auto. Ci siamo fermati nei pressi del magazzino della nostra impresa edile. Volevo salvare qualche attrezzo. Sphresa all'inizio mi ha aiutato ma quando l'acqua ha cominciato a salire è tornata dalle bimbe in auto. In un attimo dopo l'acqua se le è portate via. Sono disperato, potevo fare qualcosa di più e non sono stato capace di farlo». Secondo il racconto dell'uomo l'auto è stata trasportata dalla furia del Fereggiano a 200 metri di distanza, poi l'acqua ha rotto i vetri e le trascinate fuori. Sono state portate in uno scantinato dove sono state ritrovate dai soccorritori. Solo la più piccola è stata portata in vita al pronto soccorso dell'ospedale Gaslini dove poi è deceduta quasi subito. «Siamo disperati - ha aggiunto l'uomo - abbiamo perso tutto». La famiglia delle vittime vive a Genova stabilmente da 15 anni dove gestisce un'impresa edile. I funerali delle tre vittime, dopo il nulla osta della Procura, si svolgeranno in Albania. Dramma nel dramma per un valoroso cittadino genovese: Rosario Gioia, 38 anni, operaio disoccupato di Genova, è un eroe mancato. In via Fereggiano ha visto una donna e due bambini scomparire nella piena. Lui si è gettato nel fango, è riuscito ad afferrare la bimba di un anno. Ma quando l'ha estratta dal fango, la piccola era già morta. E stato lui stesso a raccontarlo ai giornalisti, ancora confuso, deluso, piegato su se stesso da un dolore grande, unito all'incapacità di convincersi come il suo nobile gesto sia alla fine risultato vano. Tra lacrime e fango.

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