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Amato contro i sinistri "signor no"

Giuliano Amato

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E ora che si fa? Silvio Berlusconi, può piacere o meno, ma ha sicuramente una grande capacità: quella di mandare periodicamente in confusione l'opposizione. In particolare il Pd. Stavolta lo ha fatto con la sua lettera alla Ue. Una lettera su cui il Consiglio europeo si è espresso positivamente accogliendo «con favore i piani dell'Italia per le riforme strutturali volte al rafforzamento della crescita e la strategia di risanamento del bilancio». Panico. Il Cavaliere, quello che viene irriso da Nicolas Sarkozy, quello che ben che vada rimedia solo «brutte figure» nei consessi internazionali, ha fatto breccia nel cuore di Bruxelles. Così al Pd non è restata che la carta della disperazione. La lettera è solo uno stratagemma, si sono affrettati a spiegare, fumo per cercare di prendere tempo e sopravvivere il più a lungo possibile. Poi hanno alzato le barricate sulle norme che riguardano i licenziamenti. Difficile infatti fare gli europeisti quando l'Europa loda il Cavaliere e, men che meno, sposare le misure contenute nella lettera del governo, quando i sindacati, compatti, sono sul piede di guerra. Ma soprattutto quando il tuo principale alleato Antonio Di Pietro spiega che «quella lettera non riuscirà a passare neanche la soglia del Parlamento perché noi dell'opposizione ci opporremo in ogni modo». Meglio quindi criticare a prescindere e continuare a galleggiare. Anche se, prima o poi, i nodi vengono al pettine. Così ieri Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio e padre nobile del Pd (è stato tra i 45 che lo hanno fatto nascere), si è permesso di dare qualche consiglio ai suoi «compagni» di partito. «La lettera - ha spiegato intervistato da Radio Radicale - è una lettera di intenti, che in italiano si dice intenzioni. Sono buone intenzioni, fin dall'inizio destinate a prevedere reazioni non favorevoli nel mondo sindacale. Quello che io farei, se fossi la maggioranza, è il possibile per realizzare le cose che ho detto di voler fare. Se fossi l'opposizione, non avrei remore a presentare io stesso in Parlamento le misure corrispondenti alle intenzioni del Governo che corrispondono alle mie intenzioni, e che anzi sono state copiate dalle mie intenzioni. Non è che se uno che mi sta antipatico copia le mie intenzioni, annulla le mie intenzioni». Insomma, invece di protestare, l'opposizione farebbe meglio ad avviare un confronto costruttivo sui contenuti. Una posizione che non tutti però, all'interno del Pd, condividono. Così, ad esempio, il responsabile economia Stefano Fassina invita la Confindustria a non fare errori: «La lettera contiene proposte inaccettabili. Occorre seguire una via opposta. Gli industriali rischiano un errore di grave miopia nel difendere i loro legittimi interessi». Il riferimento è ancora una volta alle norme sui lincenziamenti. Su cui il senatore Pd Giorgio Tonini ha però una posizione di tutt'altro tipo. «La Commissione e il Consiglio europeo - scrive sul Foglio - si aspettano un calendario preciso e affidabile che contenga cinque obiettivi precisi». E tra questi Tonini indica anche «una riforma della legislazione del lavoro, comprese le norme sui licenziamenti, che si accompagni tuttavia ad un rafforzamento del sistema di ammortizzatori sociali». Aggiungendo poi, rivolto al proprio partito, che «quei cinque punti impegnano anche noi e non potremo sottrarci dal dire agli italiani e agli altri europei, in modo dettagliato, come pensiamo debbano essere perseguiti». Dopotutto è un po' difficile attaccare le norme sui licenziamenti quando Berlusconi continua a dire che il punto di riferimento deve essere il disegno di legge presentato dal senatore Pd Pietro Ichino. Secondo il testo le imprese possono licenziare ma, tramite delle agenzie ad hoc, devono garantire ai lavoratori, per la durata massima di tre anni, assegni che coprano il 90% dell'ultima retribuzione per il primo anno, l'80% il secondo, il 70% il terzo. Si tratta di una proposta che tocca solo i nuovi assunti che dopo il lincenziamento saranno comunque vincolati a partecipare a iniziative di riqualificazione e ricerca della nuova occupazione. Il film, quindi, è sempre lo stesso. In un Pd senza linea si replica l'eterna battaglia tra chi spinge per un partito che non si faccia fagocitare dall'ala sinistra (su tutti i veltroniani) e chi, al contrario, fa di tutto per non mettere in crisi questo rapporto preferenziale. Forse anche per questo Pier Luigi Bersani, per non scontentare nessuno, avverte: «C'è spazio per discutere alcune misure su cui conveniamo; certo su quelle che non condividiamo non c'è alcuna possibilità». Sarebbe bello sapere quali sono le une e quali le altre.

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