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Mosca si sente fuori dal tavolo dei vincitori e chiede il lutto

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Moscaha prima deplorato l'intervento militare, poi tentato il ruolo di mediatore quando Gheddafi era ancora una mina vagante e, adesso che il Colonnello è morto, la Duma chiede addirittura di esprimere pubblicamente le sue condoglianze al popolo libico per la «barbara» uccisione di Muamamr Gheddafi, il «Karl Marx africano», un «Garibaldi libico». Questa, almeno, era la convinzione di alcuni deputati che hanno proposto alla Duma di adottare una dichiarazione che esprimesse il cordoglio dei legislatori russi per l'uccisione del Colonnello a Sirte. Promossa dai comunisti, dal partito Russia Giusta e da quello liberal-democratico (Ldpr), l'iniziativa è poi naufragata davanti al rifiuto della Camera bassa del Parlamento che ha respinto il testo con 153 voti contrari e 98 favorevoli. I tre partiti non hanno trovato infatti l'appoggio della formazione di maggioranza Russia Unita, guidata dal premier Vladimir Putin. Polemiche a parte, adesso c'è tutta la partita economica da giocare. Di certo gli interessi sono alti, nonostante Mosca sembra voler mostrare indifferenza: «Noi non siamo in alcun modo coinvolti», ha detto il presidente Dmitri Medvedev, quando ha saputo della morte di Gheddafi. Gas, petrolio, ma non solo. Un'altra doccia fredda per le speranze russe a Tripoli è venuta dal rifiuto del nuovo governo libico che ha fatto sapere di non avere in programma l'acquisto di armi russe, cosa che invece avrebbe fin qui fatto Gheddafi. «La Libia in futuro non avrà bisogno di armi», ha fatto sapere il presidente del Cnt della Libia, Mustafa Abdeljalil. Ma non c'è solo Mosca a sentirsi fuori dal tavolo dei vincitori. Le grandi potenze mondiali, geograficamente lontane dalla Libia e un tempo politicamente distanti dalla gestione del conflitto, insomma, adesso si fanno sotto. «L'India ribadisce di essere pronta a fornire tutta la possibile assistenza al popolo libico per la transizione politica e per la ricostruzione del Paese», afferma il portavoce del ministero degli Esteri di Delhi, Vishnu Prakash, senza aggiungere altri dettagli, all'indomani dell'uccisione del Colonnello. Lo scorso febbraio in Libia lavoravano circa 18mila indiani, in gran parte evacuati con il proseguire della rivolta. L'India ha investimenti considerevoli nel settore energetico libico e si è astenuta dal voto del marzo scorso sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu che imponeva una no-fly zone. Pur sostenendo le sanzioni contro il regime di Gheddafi, Delhi aveva ripetutamente fatto pressioni per un dialogo che risolvesse la crisi. Unità nazionale e ripristino della stabilità sociale è quanto invece chiede la Cina per la nuova Libia. «Una nuova pagina si è aperta nella storia de Paese - spiega il portavoce del Ministero degli esteri cinese, Jiang Yu - speriamo che ora la Libia possa iniziare presto un processo politico globale di transizione inclusiva, mantenere la solidarietà etnica e la stabilità sociale, avviare la ricostruzione economica e consentire al suo popolo di vivere in pace e benessere». Pechino ha avuto rapporti tesi con gli insorti del Consiglio nazionale transitorio per la sua opposizione all'intervento della Nato e per il tentativo di vendere armi a Gheddafi, ma ora le relazioni si stanno normalizzando con il riconoscimento del Cnt arrivato a settembre. In un commento dell'agenzia Xinhua, si sottolinea che «ci sono motivi per restare prudenti o almeno non troppo ottimisti sul futuro. Nessuno di fa illusioni che vi siano facili soluzioni alle tremende difficoltà da affrontare», come ha dimostrato «l'Iraq del dopo-Saddam».

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