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Soros prima speculava sulla lira ora fa lo sponsor degli indignados

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La classe dirigente europea ha bisogno di un reset. Lo sappiamo da tempo, ma ora ne abbiamo la prova regina. Cento esponenti della finanza e dell'industria, parlamentari, ex ministri, hanno sottoscritto un “Appello per l'Europa” che chiede misure immediate per salvare l'euro. Tra gli italiani spiccano Emma Marcegaglia, Massimo D'Alema, Emma Bonino, Fiorella Kostoris, Mario Baldassari. Sennonché colpisce il nome dell'ideatore dell'iniziativa: George Soros. Benché alla voce “cittadinanza” abbia indicato Hungary/Us, quasi a darsi una patente europeista, si tratta del più formidabile speculatore contro la sterlina, la lira, il franco francese, e dal 2010 proprio contro l'euro. Soros stesso ha raccontato di aver realizzato con le vendite allo scoperto del suo Quantum Fund un profitto del 3.365% in 10 anni. Nel febbraio 2010 la sua ultima creatura, il Soros Fund Management, dette il via con altri tre hedge di Wall Street all'attacco all'euro, avendo capito subito ciò che è poi risultato evidente: l'Europa non sarebbe stata in grado di gestire il default neppure di un piccolo paese come la Grecia. Ovviamente nel suo campo Soros è un genio, abituato a prendere le misure dei leader dei paesi che mette nel mirino, e quindi a papparseli in un boccone. Si professa progressista, ha finanziato Solidarnosc, i movimenti neri sudafricani, e da ultimo la campagna di Barack Obama. L'Ulivo nostrano si era innamorato di lui e non è mancata una laurea honoris causa a Bologna nel 1995. Ma perché tanti bei nomi dell'establishment europeo corrono a firmare un appello di Soros? Forse hanno fatta propria la vecchia regola del Far West: nominare sceriffo il capo dei banditi. Temiamo invece che a muoverli sia piuttosto un misto tra coda di paglia e sindrome di Stoccolma, con qualche spruzzata trendy nei confronti degli Indignados: al di là di ciò che accade in Italia, si tratta di un fenomeno nuovo, globale, che offre a chi lo cavalca, meglio se finanziere o industriale “illuminato”, una buona ribalta. Mario Sechi ha scritto di «un establishment senza pudore che riesce a dar ragione insieme alla Bce e agli Indignados, un caso clinico di schizofrenia che affligge una parte della classe politica, quella che ha appaltato il pensiero alla tecnocrazia mentre gli amici banchieri si riempivano la pancia di spazzatura finanziaria». Infatti nelle ore in cui a Roma gli indignati “pacifici e colorati” accoglievano i black bloc, salvo poi dar la colpa al governo ed “infiltrati” vari, abbiamo letto pensose attestazioni di stima di banchieri come Corrado Passera, di imprenditori come Luca di Montezemolo, di avvocati d'affari miliardari come Guido Rossi. Purtroppo perfino di Mario Draghi, prossimo governatore della Bce. Si sono accorti tutti assieme, e solo ora, che esiste un diffuso problema di giovani generazioni? Magari per l'overdose finanziaria in cui loro stessi sono parte in causa? Riflettere sulle ragioni e le cause di questo movimento non è solo lecito: è doveroso. Il problema però è il pulpito della riflessione, e soprattutto l'assoluta assenza di un'analisi davvero globale. Da cui balzerebbe evidente che non tutti gli Indignados sono uguali. Anzi, che – black bloc a parte – quello italiana è proprio un caso a parte, in peggio. Il movimento Occupy Wall Street, per esempio, per aggirare la legge americana che proibisce l'ostruzione al traffico (da qui i 700 arrestati al ponte di Brooklyn senza che ne nascesse alcun caso nazionale) ha piantato le tende a Zuccotti Park, nel cuore della city newyorkese. Intervistato da Sky, Sidney Tarrow, un guru liberal docente di Scienze politiche alla Cornell University, li definisce “leaderless”, senza appartenenze né ideologie “se non quella di accusare le banche di aver consegnato all'uno per cento degli americani la metà della ricchezza nazionale”. Ecco una prima differenza: da quelle parti nessun banchiere si azzarderebbe ad ambigui ammiccamenti a questi ragazzi, che pure non hanno bulloni e maschere antigas, anzi inalberano la bandiera a stelle e strisce. Ovviamente sono blanditi dai politici, dai Tea Party e da repubblicani come Ron Paul che ha fatto degli attacchi alla Federal Reserve e alle banche il cuore della campagna per le primarie. Due inchieste, del Wall Street Journal e di Time, dicono del resto che le banche e la Fed sono al primo posto nel discredito nazionale, seguite a ruota dal Congresso; e che a farne le spese potrebbe essere proprio Obama, che ha puntato sull'aiuto alle banche, sull'appoggio della Fed, ed anche su Soros. Se questo è un aspetto di un movimento mondiale, siamo lontani mille miglia dalla politicizzazione che pervade gli indignati nostrani, che in gran parte non sono né ventenni né outsider ma attempati professionisti dei cortei. Non solo. Quanti ragazzi americani vi risulta che andrebbero a bloccare la costruzione di una ferrovia ad alta velocità o di altre infrastrutture pubblica? Le grandi campagne che si ricordano sono quelle contro l'inquinamento delle falde d'acqua della Pacific Gas and Electric Company immortalata in “Erin Brockovich” con Julia Roberts; e prima ancora contro la centrale nucleare di Three Mile Island, dodici giorni prima l'uscita di “Sindrome cinese” con Jane Fonda. Questioni (e storie) forti, cui gli americani, unici nel raccontare se stessi – quanti romanzi e film sulla Cia – hanno dato valore universale. Passiamo agli indignati inglesi. Protestano perché il governo ha triplicato a 9 mila sterline la retta base delle università. Sono poche migliaia e forse hanno ragione: eppure i media e l'opinione pubblica non si sono scandalizzati quando David Cameron ha dato ordine alla polizia di caricarli. Anzi, molti londinesi si sono armati di ramazze per ripulire i rimasugli dei lanci di uova. Come si vede il fenomeno è sì globale, ma non eguale; e si declina nel mondo con modi e motivazioni assai diverse che in Italia. Così come siamo lontani dal buonismo da salotto di una certa italica nomenklatura. Certo, i black bloc sono un problema criminale. Ma quest'altro è deficit morale e di credibilità di una gran parte di società e di classe dirigente. Deficit che riguarda, stavolta sì, non solo noi ma tutta l'Europa. Ieri sono bastate le parole del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble e del governatore della Banca di Francia, Christian Noyer (in sintesi: toglietevi le illusioni, nei prossimi attesissimi vertici non risolveremo un bel nulla) per provocare l'ennesimo crollo delle borse. L'ennesima prova di inazione: che batte chiacchiere, appelli e belle parole.

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