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Veltroni mette in scena il processo a Bersani

Walter Veltroni

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Sarà la vicinanza con il teatro dell'Opera di Roma, ma l'impressione, sedendo in platea durante l'assemblea di Movimento democratico (la componente di minoranza del Pd guidata da Walter Veltroni, Paolo Gentiloni e Giuseppe Fioroni), è di assistere alla messa in scena di «Questi fantasmi» di Eduardo De Filippo. La lista di «fantasmi» evocati, infatti, è ben popolata. Si parte con il video del discorso che Steve Jobs pronunciò nel 2005 davanti agli studenti dell'università di Stanford. E il patron di Apple diventa subito, con il suo «Stay Hungry, stay foolish» («Siate affamati, siate folli»), il «fantasma» che tiene insieme gli interventi di coloro che si susseguono al microfono. Quasi tutti lo citano e per un attimo viene in mente la vecchia gag in cui Corrado Guzzanti, imitando Veltroni intento a comporre le liste elettorali, gridava ai «compagni della mozione Nazzari»: «Amedeo Nazzari è morto». Anche Jobs lo è, ma la sua rievocazione, oltre ad un intento celebrativo, ha anche un altro obiettivo. Jobs è un leader. Perché, come spiega Veltroni, «il leader è colui che vede le cose prima che accadano». Ed ecco quindi apparire altri «fantasmi». C'è Matteo Renzi, il leader che potrebbe essere, che forse Veltroni vedrebbe bene come carta da giocare in un eventuale congresso, ma che per ora è ancora troppo acerbo e difficile da «controllare». Ci sono i leader che vorrebbero essere. I Nichi Vendola e Antonio Di Pietro che al congresso Idv di Vasto hanno messo in scena una riedizione riveduta e corretta dell'Unione prodiana. E poi c'è il leader che non può più essere: quel Pier Luigi Bersani che non è stato invitato e contro cui, pur senza citarlo mai apertamente, si scaglia tutta la rabbia di Modem (anche se Veltroni assicura: «Non farò quello che è stato fatto a me»). Inizia Paolo Gentiloni che, dopo aver rivendicato le giuste sollecitazioni lanciate un anno fa dal Movimento nella riunione del Lingotto, chiede deciso e senza troppi giri di parole un «cambio di rotta». Convinto che il Pd non possa più continuare ad «oscillare tra riformismo e chi ha invece gli occhi puntati sullo specchietto retrovisore». Prosegue Enrico Morando che domanda secco: «Perché loro crollano e noi siamo lontani dal risultato del 2008?» Per poi affondare («noi siamo sempre al traino di qualcun'altro su ogni questione»), lanciare una «battaglia politica» e avvertire: «Non ci chiedano di rinviare il congresso». E ancora Marco Follini («Non ho capito la differenza tra il nuovo Ulivo e la vecchia Unione»), Giuseppe Fioroni («Se pensiamo che con Vasto abbiamo risolto i nostri problemi non andiamo da nessuna parte») e Veltroni a chiudere. La richiesta che arriva forte e chiara dall'Auditorium del Palazzo della Cooperazione è una: il Pd deve smetterla di «balbettare» come ha fatto in occasione della raccolta di firme per il referendum elettorale o delle battaglie per il taglio della province e dei costi della politica. Ma soprattutto deve lavorare per costruire un governo di transizione guidato da una personalità credibile a livello internazionale, sostenuto da una maggioranza ampia, capace di fare gli interventi necessari per superare la crisi e riformare la legge elettorale. Niente elezioni anticipate anche perché non bisogna farsi tentare dai sondaggi che per ora danno il centrosinistra avanti («Nel 2006 - ricorda Veltroni - avevamo 12 punti di vantaggio»). Sul punto anche i «pontieri» Enrico Letta e Dario Franceschini, espressione della maggioranza e presenti all'assemblea, sono d'accordo. Ma l'impressione è che l'unità della «ditta» (Walter preferisce chiamarla «comunità»), si sia ormai incrinata. La minoranza non ha alcuna intenzione di fare passi indietro. E con tutti questi «fantasmi» Bersani non dormirà di certo tranquillo.

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