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Berlusconi si sdoppia da Silvio

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Il Colle evoca il governo di tregua

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Silvio Berlusconi è tornato all'improvviso di buon umore. In politica c'è un solo dato che riesce davvero a rianimare il Cavaliere: quello dei sondaggi. E così, dopo settimane di caduta libera, sulla scrivania del premier sono arrivati i dati dei test sul nome del nuovo soggetto politico che Silvio vorrebbe lanciare. Due i brand sottoposti al gradimento dei potenziali elettori: Forza Silvio e Italia per Sempre. Il secondo è quello che è piaciuto di più. Ma di poco: 18% contro il 16%. E qui si apre l'altro capitolo fondamentale. Berlusconi da solo vale ancora qualcosa tra il 15 e il 20% del mercato elettorale. Il Pdl, nello stesso sondaggio, è ancora al 20-22%. Ciò significa che i berlusconiani, tra partito e lista affiancata, possono ancora rappresentare il 35-40%. Non è preclusa la possibilità di vittoria. Tutt'altro, Berlusconi si sente di nuovo e inaspettatamente in corsa. Come prima e più di prima. Ancora convinto di poter sbarrare la strada al centrosinistra e anche agli imprenditori come Della Valle e Montezemolo che s'apprestano - a vario titolo - a scendere in campo. La sola voce che il Cavaliere possa farsi una lista per i cavoli suoi sta gettando nel panico i gruppi parlamentari sia alla Camera che al Senato. La domanda più ricorrente che si fanno i peones tra loro è: «Ma tu che fai? Resti nel Pdl o vai con Forza Silvio?». Al punto che i due capigruppo, Gasparri e Cicchitto, hanno dovuto rilasciare dichiarazioni per sedare gli animi. «Il Popolo della libertà è un partito nuovo e oggi consolidare questo partito è il compito che Berlusconi e tutti noi ci siamo dati», ha spiegato il presidente dei senatori dopo il vertice di maggioranza che si è tenuto ieri a pranzo. Al caos della situazione in generale s'aggiunge il caos anche per l'immediato futuro. Al punto che lo stesso Berlusconi è dovuto tornare sui suoi passi e spiegare ai deputati che in realtà sta solo pensando di cambiare nome. «Va cambiato, non è più nel cuore della gente, non ha appeal»: il leader del centrodestra lo ha ribadito più volte ai drappelli di parlamentari che sono andati a omaggiarlo in aula. Poi, come spesso accade, il premier si è lasciato andare a qualche battuta a cui non riesce a resistere. «Io lo chiamerei Forza gnocca...». Battute che finiscono per alimentare altra confusione. Al di là delle frasette più o meno felici, nel maggiore partito (almeno stando alle ultime elezioni politiche) sembra di essere sull'orlo di una rivoluzione. Un nuovo predellino, sebbene un'ulteriore svolta sia stata annunciata fin troppe volte. Di sicuro Berlusconi vuole uscire dall'angolo nel quale è finito e in parte s'è cacciato da solo. La parola d'ordine per ora è "ritorno al futuro". Ritorno allo spirito del '94 senza le persone del '94. Una lista, una formazione di giovani, di uomini nuovi, che riesca a innovare e soprattutto che capitalizzi il patrimonio di consensi che il Cavaliere continua ad avere. Solo Di Pietro con Italia dei Valori e Vendola con Sel hanno uno zoccolo duro così ampio che seguirebbe il leader anche se si presentasse con un altro simbolo. L'idea è proprio quella. Cercare di sfruttare il consenso accumulato dal Pdl, che a quel punto si presenterebbe come forza autenticamente moderata e con un chiaro riferimento internazionale con l'agganciamento al Ppe. Con un candidato premier giovane come Angelino Alfano. A fianco una forza più rivoluzionaria, laica e che punti agli ultrà con Berlusconi in appoggio. Il quale non si candiderebbe alla guida del governo ma solo a capo di un suo gruppo di uomini. L'obiettivo è anche quello di portare una propria pattuglia di deputati fedelissimi, non enorme ma abbastanza cospicua da creare una forza di interposizione in Parlamento in grado di condizionare anche dall'opposizione. Un gruppetto che sia nelle condizioni di difenderlo nel caso di aggressione politica diretta a lui o alle sue aziende. È un'operazione che può funzionare? Si vedrà. Difficile dirlo anche perché i contorni del nuovo progetto sono magmaticamente in movimento. Certo, elettoralmente, due più due in politica non fa mai quattro. Nelle divisioni come nelle fusioni difficilmente le forze politiche hanno ripetuto i risultati precedenti. Al contrario, ne hanno sempre perso perché generalmente l'elettorato chiede il massimo della chiarezza e viaggia verso la semplificazione. Per questo gli uomini vicini al premier dicono che «non si sta lavorando a uno split ma a un nuovo start up». Cioè non a una separazione o, volendo continuare a usare il linguaggio aziendale, non preparando una cessione di un ramo d'azienda. Ma Berlusconi pensa a una cosa nuova. Che scompagini il quadro politico. Non vuole mollare. Non vuole gettare la spugna. Non pensa a lasciare il Paese alla sinistra. Al contrario. Più vede in tv quelli dell'opposizione recitare il suo funerale e più si eccita e studia come fregarli di nuovo. Soprattutto non vuole uscire di scena così. Non vuole che sui libri di storia finisca con l'essere ricordato per la cupio dissolvi finale. Come un vecchietto che ricorreva le minigonne. O peggio ancora come un pedofilo o come un volgare puttaniere. Non immagina per sè una fuga all'estero come fece Bettino Craxi. Al contrario sogna un nuovo successo, un trionfo. E per Berlusconi esiste solo un tipo di celebrazione della sua figura: il bagno di folla. Aver scavallato i 75 anni gli consente anche di liberarsi di alcune tare mentali. Una per esempio è quella che adesso, compiuta quell'età, sarebbe più difficile sbatterlo dietro le sbarre perché, nel sistema italiano, oltre una certa soglia, al massimo si va agli arresti domiciliari. Se questo è il quadro, le elezioni anticipate convengono ogni ora di più. Almeno così la pensa Bossi che ieri lo ha detto chiaramente. Suscitando qualche irritazione al Quirinale. Napolitano, uno che non ha mai fatto nulla a caso, perfidamente ha subito elogiato il governo di transizione guidato, a cavallo tra il '53 e il '54, da Giuseppe Pella. Facile leggere un avvertimento: attenzione che se cade l'attuale governo non è detto che si vada alle elezioni. D'altro canto sul Colle sperano che sia una maggioranza di centrosinistra ad eleggere il successore dell'attuale Capo dello Stato, che termina il suo mandato nel 2013. C'è anche chi non fa mistero del fatto che vedrebbe bene Romano Prodi, che proprio in questi giorni è tornato sommessamente sulla scena politica: lo vedremo più spesso. E Berlusconi? Non è che il Cavaliere ricerchi le elezioni. Avrebbe preferito dopo le batoste assestate agli italiani con le manovre di quest'estate un bel decreto sviluppo che gli avesse consentito di presentarsi come il sorridente dispensatore di buone novelle. Ma per dirlo con un big del Pdl: «Non c'è niente». Non ci sono risorse. Non ci sono euro. Arduo pure lanciarsi in provvedimenti troppo dirompenti sul fronte delle liberalizzazioni. Meglio continuare la navigazione tranquilla. A vista. Ma se c'è un incidente bisogna essere pronti. Prontissimi. Uno scivolone può esserci anche all'improvviso. Per ora solo qualche scajoliano lo minaccia nelle chiacchiere da Transatlantico dopo la cena organizzata dall'ex ministro l'altra sera. In politica gli agguati, però, non si minacciano e tantomeno si annunciano. Chi alza la voce è perché vuole trattare. E tra gli uomini di Claudio Scajola ci sono tanti senza padri e padrini. Spiega uno di loro: «Il Pdl, in caso di voto anticipato, prenderebbe al massimo 120 deputati. In quel caso sarebbero promossi quelli del cerchio magico, i vertici, i coordinatori regionali e qualcun altro dei fedelissimi. A noi toccherebbero le briciole». Si lavora a un'apertura più decisa all'Udc visto che con il referendum alle porte Pier Ferdinando Casini è diventato paradossalmente il più strenuo difensore dell'attuale legge elettorale e allo stesso tempo il più acceso tifoso del voto anticipato. Con il ritorno al «mattarellum» il terzopolismo ha scarse possibilità di sopravvivenza visto che per portare qualche parlamentare alla Camera e al Senato bisogna allearsi. Chi nel Pdl intende fare accordi con lui, deve muoversi al più presto. E tra questi c'è anche il segretario del partito del premier, Angelino Alfano. Chi opera al fine di riunificare i centristi e in particolare il fronte cattolico, deve dare un segnale senza più ulteriori indugi. Ora.

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