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Don Diego non è Zorro ma...

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Diego Della Valle

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Dopo aver letto le reazioni all'uscita di Diego Della Valle mi sono convinto: ha fatto bene. Provo a spiegare perché. Diciotto anni fa un altro italiano di genio, Silvio Berlusconi, ragionava da imprenditore sulla politica e sotto sotto pensava di far da sé. Il creatore della tv commerciale cominciava a tastare il terreno. Dopo lunghe consultazioni Sua Emittenza - così lo chiamavano i nemici - decise di provarci e inventò Forza Italia. Il Palazzo reagì alla stessa maniera di oggi: scetticismo, disprezzo, partito di plastica, consensi politici più opportunistici che sinceri. Tutti gli imprenditori dell'ancien régime restarono alla finestra. Pensavano a una meteora. Il resto della storia lo conosciamo. Un Berlusconi entrato nel mondo della politica animato da spirito riformatore ha provato sulla propria pelle quanto sia difficile governare questo Paese. Alla fine, è stato anch'egli fagocitato e azzannato dal sistema e il tasso di realizzazione delle promesse è al di sotto delle speranze alimentate. Non è tutta colpa sua, ma questa è la verità. Vale anche per la sinistra. E da qui si riparte. Attenzione, ho i piedi per terra, non scambio Diego Della Valle per Don Diego De La Vega, siamo di fronte a un ottimo imprenditore, non a Zorro e non mi sfugge il suo status di pezzo da novanta del potere economico, ma credo sia realmente mosso da amore per il Paese che il suo gruppo rappresenta (bene) nel mondo. Non possiamo lamentarci dello scarso impegno della classe dirigente e poi ogni volta che qualcuno s'affaccia nella stanza dei bottoni viene sommerso di ortaggi. Comprendo l'istinto di conservazione della politica, ma non i piccoli interessi di bottega, questo spirito di fazione e casta è autodistruttivo. L'appello di Della Valle pubblicato su alcuni quotidiani può essere criticato, giudicato eccessivamente antipolitico - ma ha parole aspre per tutti, imprenditori-prenditori compresi - però se facciamo un giro di opinioni comuni, scopriremo che è condiviso da tanti italiani che si districano nell'Italia dei furbi. Milioni di cittadini non ci stanno più a fare i fessi a vita e se la proposta dei partiti è sterile, dedita alla lotta tribale e non a un sano pragmatismo (di cui Berlusconi è stato solo in parte interprete), allora è chiaro che qualcuno oltre a urlare comincia anche ad attrezzarsi per riaprire il mercato della politica. Il milione e passa di firme raccolte per il referendum elettorale - che Il Tempo ha sostenuto con fermezza e senza complessi ideologici, vedendoci giusto - è un macigno che dovrebbe far riflettere il sistema dei partiti. Vedo che non hanno capito. Eppure la rivoluzione della politica è sotto i loro occhi. Buona fortuna.  

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