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Il Cav resti fino al 2013. Ma scelga il successore

Il Presidente del Consiglio SIlvio Berlusconi

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Caro Cavaliere, o dottore, come usavamo chiamarla, e lei preferiva essere chiamato, prima di guadagnarsi il titolo di presidente con la politica presiedendo, appunto, il Consiglio dei Ministri per 9 anni e mezzo dei 17 e più trascorsi dalla sua prima vittoria elettorale. Lei sa bene che i nostri auguri per i 75 anni che compie oggi sono davvero sinceri. Ne avrà avuto una prova di recente, leggendo un editoriale nel quale il nostro direttore Mario Sechi riferiva ai lettori di non avere trovato tra gli analisti e i commentatori de Il Tempo, per una pagina di confronto a caldo tra opinioni diverse dopo una sua battagliera lettera all'amico Giuliano Ferrara, uno disposto a sostenere l'opportunità di un suo «passo indietro». Continuo a ritenere politicamente e costituzionalmente legittimo, e umanamente condivisibile, il suo rifiuto di mollare, cioè di dimettersi, disponendo di una maggioranza parlamentare. Non può lasciare solo perché lo pretendono con monotona insistenza opposizioni incapaci di sfiduciare il governo al Senato o a Montecitorio, neppure con l'aiuto disinvoltamente concesso loro dal presidente della Camera, alla faccia della neutralità istituzionale del proprio ruolo. Né valgono a sostenere le cattive, o insufficienti, ragioni delle opposizioni certi cultori improvvisati dei famosi «mercati». A placare i quali dovrebbe bastare e avanzare una bella crisi di governo, cioè la certificazione di quella instabilità di cui sono ghiotti gli speculatori di ogni risma. O certi devoti altrettanto improvvisati di Santa Romana Chiesa, dei suoi cardinali e dei suoi vescovi, le cui «ingerenze» sono fustigate quando trattano temi come il divorzio, l'aborto, la fecondazione assistita e il testamento biologico, ma apprezzate quando contengono allusivi giudizi critici su taluni Suoi comportamenti privati. Non parlo poi degli aiuti ancora più arbitrari che le opposizioni cercano e ottengono, o trovano senza neppure cercarli, in campo giudiziario. Dove ai vecchi e già numerosi processi contro di lei si sta cercando di aggiungerne altri con una concorrenza tra Procure tanto scomposta quanto indicativa, da sola, dello spirito ossessivo e persecutorio con il quale, più che indagarla, le si dà odiosamente la caccia. Per quanto ben motivata, condivisibile e persino obbligata, non credo tuttavia che la sua resistenza a Palazzo Chigi la esoneri da altri obblighi. O opportunità, come preferisce. Che sono poi in politica la stessa cosa, specie nella nuova versione che proprio lei le ha dato con quella specie di filo diretto che, dal suo esordio, ha voluto e saputo stabilire con i cittadini. La resistenza agli assalti degli avversari, che mi sarebbe piaciuto vedere opporre da lei anche a certi suoi presunti amici, rivelatisi capaci persino di fare la cresta sulla sua generosità, anziché trattenerla da certe troppo gioiose debolezze, aggravate forse dalla solitudine procuratale da chi più di tutti doveva starle vicino, se veramente le voleva bene, anziché rinchiudersi in doratissime dimore e separarsi a mezzo stampa; la resistenza, dicevo, agli assalti degli avversari dev'essere accompagnata con almeno due altre cose. La prima è di varare le misure per la ripresa, che diano un senso e uno sbocco ai sacrifici fiscali già imposti ad un elettorato che ha stentato a capirli, e ancora meno li capirà se non saranno seguiti da interventi contro gli sprechi e i privilegi. E di vararle, queste misure per lo sviluppo, senza aspettarsi dalle opposizioni come «regalo di compleanno – ha detto ieri al Tg5 – di mettere da parte i contrasti e gli scontri e di lavorare tutti insieme per rilanciare l'economia e portare l'Italia fuori dalla crisi». Da quelle parti, mi creda, con lei non sono né generosi né responsabili. L'altra cosa che le spetta di fare, carissimo il mio presidente, non è tanto di chiedere scusa agli italiani per gli errori di stile o comportamento che lei ha sicuramente commesso, come reclama qualche nostro comune amico dimentico che gli italiani ragionevoli e ben disposti l'hanno già perdonata e compresa, specie alla luce dell'uso strumentale che di tali errori stanno facendo gli avversari. E quelli prevenuti non hanno certamente bisogno di sentirle chiedere scusa per negargliela. No, la seconda cosa che mi aspetto dal suo buon senso e dalla sua generosità è di spianare la strada al suo successore, o al candidato alla sua successione nel centrodestra, quando lei avrà portato a termine regolarmente e dignitosamente, come ha il diritto di pretendere, il proprio mandato. Alla scadenza cioè di questa legislatura, ordinaria o anticipata che possa rivelarsi. Dica, per favore, caro Cavaliere, più chiaro e forte di quanto non abbia già fatto sinora che la sua leadership non continuerà a confondersi con la premiership. Cioè, che la prossima volta, per ragioni fisiologiche e non di indegnità o di sconfitta come pretendono i suoi avversari, toccherà ad altri del suo schieramento, auspicabilmente più largo di quello attuale, candidarsi alla guida del governo. Non mancano di certo gli aspiranti. Che peraltro, in assenza di un suo segnale d'incoraggiamento o di preferenza, al quale lei avrà pure il diritto come leader indiscusso e fondatore di un'area politica che diversamente sarebbe rimasta inespressa, finiranno per contendersi la successione nel modo peggiore, cioè generando solo risse e confusione. Sarebbe un suicidio politico.

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