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Da Silvio ai magistrati: Bagnasco le canta a tutti

Il presidente Cei Bagnasco

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Un lungo intervento, 16 pagine, che parte dagli avvenimenti che hanno segnato la vita della Chiesa nell'estate appena trascorsa, per arrivare ad un'analisi tutt'altro che edulcorata del momento di crisi che l'Italia sta attraversando. Il cardinale Angelo Bagnasco apre così i lavori della sessione autunnale del Consiglio Permanente della Cei (termineranno giovedì) e le sue parole diventano l'occasione per l'ennesimo balletto di dichiarazioni che, a seconda delle stagioni, dipingono una Chiesa berlusconiana o antiberlusconiana. Inutile lanciarsi in improbabili esegesi del pensiero del presidente della Cei. Le sue parole non ammettono interpretazioni: una condanna netta di «stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni della vita pubblica». La sintesi è scontata: Bagnasco condanna Berlusconi (che pure non viene mai nominato). In realtà è lo stesso cardinale a far notare a coloro che «da più parti invocavano nostri pronunciamenti», che in questi anni «la voce responsabile del Magistero ecclesiale che chiedeva e chiede orizzonti di vita buona, libera dal pansessualismo e dal relativismo amorale» non è certo mancata. Al punto che il presidente della Cei cita il presidente emerito della Corte Costituzionale Franco Casavola: «L'unica voce che denuncia i guasti della società delle politica è quella della Chiesa cattolica». Il problema, semmai, è negli occhi di chi guarda. Così, ad esempio, quasi nessuno si accorge di un altro passaggio del discorso di Bagnasco. Quello in cui «tornando allo scenario generale», il presidente della Cei dichiara: «Colpisce l'ingente mole di strumenti di indagine messa in campo in questi versanti, quando altri restano disattesi e indisturbati. E colpisce la dovizia delle cronache a ciò dedicate». Insomma, se Atene piange Sparta non ride. Anche chi passa il proprio tempo nel tentativo di svelare gossip e dettagli variamente pruriginosi, non offre un ottimo servizio a un Paese, ed è questa la vera preoccupazione del capo dei vescovi italiani, che vive in uno stato di «sconfortata rassegnazione». Certo, prosegue Bagnasco, «la responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalla strumentalizzazioni che pur non mancano». Ecco allora che «i comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l'aria e appesantiscono il cammino comune». Soprattutto in un momento in cui «le congiunture si rivelano oggettivamente gravi». «Solo comportamenti congrui ed esemplari - insiste il presidente della Cei -, commisurati alla durezza della situazione, hanno titolo per convincere a desistere dal pericoloso gioco dei veti e degli egoismi incrociati». Anche sulla «questione morale» Bagnasco non fa sconti. «Non è un'invenzione mediatica», ma «un'evenienza grave» che però, aggiunge, «non è una debolezza esclusiva di una parte soltanto e non riguarda semplicemente i singoli, ma gruppi, strutture, ordinamenti». Non si tratta solo, prosegue, «di fare in maniera diversa, ma di pensare diversamente: c'è da purificare l'aria, perché le nuove generazioni non restino avvelenate». Per questo, secondo Bagnasco bisogna affrontare il nodo della corruzione («piovra inesausta dai tentacoli mobilissimi»), smantellare i «comitati di affari» e colpire «l'evasione fiscale». «Bisogna - avverte - che gli onesti si sentano stimati, e i virtuosi siano premiati». Il cardinale affronta anche la polemica sulle «risorse della Chiesa» e sulla «gestione degli enti dipendenti dalle diocesi» spiegando che «se abusi si dovessero accertare, siano perseguiti secondo giustizia, in linea con le norme vigenti». Ma il suo vuole essere soprattutto un messaggio di speranza: «La gente di questo Paese dà il meglio di sé nei momenti difficili. Certo, le occorre per questo un obiettivo credibile, per cui valga la pena impegnarsi». E se questo è l'obiettivo, nessuno può dormire sonni tranquilli.

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