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Il mercatino improvvisato

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Enrico Letta del Pd

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C'è chi scommette a sinistra, per esempio il pur solitamente moderato vice segretario del Pd Enrico Letta, che il governo di Silvio Berlusconi cadrà "per mano dei mercati", travolto cioé da un deprezzamento inarrestabile del debito pubblico, e relativi titoli di Stato. E dalla conseguente esplosione di una crisi economica e sociale nel Paese, magari senza mettere necessariamente nel conto - bontà sua - anche "il morto" in piazza, atteso invece da Antonio Di Pietro. Ma, in verità, non solo da lui, visto che timori analoghi, sia pure con parole più caute, o politicamente più accorte, sono stati espressi a rimorchio di "Tonino" anche dal presidente della Commissione parlamentare Antimafia Giuseppe Pisanu. Quest'ultimo non è un esponente, vecchio o nuovo, delle opposizioni di sinistra o di centro, ma un senatore ancora della maggioranza, già capogruppo di Forza Italia alla Camera e ministro dell'Interno nel penultimo governo di Silvio Berlusconi, da qualche tempo però in sofferenza nel centrodestra. Tanto in sofferenza da sottoscrivere e lanciare con l'ex segretario del Pd Walter Veltroni appelli più o meno accorati per un "passo indietro" del presidente del Consiglio, visto che al Cavaliere sarebbe mancata l'accortezza nei mesi scorsi - gli ha appena rimproverato Pisanu in una intervista - di fare un "passo avanti" verso gli ex alleati Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Ma torniamo al vice segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, peraltro di origini democristiane come Pisanu, e alla sua scoperta delle risorse politiche dei mercati. Che sarebbero capaci, secondo lui, di rovesciare l'odiato governo Berlusconi supplendo alle opposizioni e premiando una crisi politica con salvifici rialzi in borsa. E proviamo per un attimo a immaginare anche noi che "l'ottovolante dei mercati", evocato ieri pure da Eugenio Scalfari, riesca davvero a sconquassare gli equilibri di potere. Ebbene, con quali gambe lorsignori i mercati irromperebbero a Palazzo Chigi per tirare giù dalla sedia il Cavaliere? Con quelle di Emma Marcegaglia, la presidente ormai uscente della Confindustria di cui la sinistra, politica e sindacale, da qualche tempo ha scoperto e apprezza il piglio antiberlusconiano, anche se non condivide buona parte del programma più o meno di governo che la signora vorrebbe tradurre in un manifesto, a cominciare dall'innalzamento dell'età pensionabile? O con le gambe del bocconiano ex commissario europeo Mario Monti, che mostra tuttavia, sia pure a giorni alterni, una certa diffidenza verso governi privi di una guida politica? O con le gambe di Pier Luigi Bersani in persona, il capo virtuale dell'opposizione politica, che però si muove con le stampelle di Nichi Vendola? Il quale dovrebbe stare ai mercati, sentendolo parlare nelle piazze e nei salotti televisivi, come il diavolo all'acqua santa, o viceversa. O con le gambe del sempre giovane Casini, al quale si possono sicuramente riconoscere molte qualità ma non, credo, una particolare competenza in questioni economiche e monetarie. È semplicemente impensabile che Berlusconi smetta, davanti a questi po' po' di signore, signori e signorini, di reclamare la verifica parlamentare dei suoi numeri. Altrettanto impensabile è che costoro riescano a intimidirlo più e meglio di quanto abbiano inutilmente tentato di fare i magistrati. Una nuova mozione di sfiducia, o iniziativa analoga, a cominciare da quella in programma fra qualche giorno alla Camera contro il ministro dell'Agricoltura, Francesco Saverio Romano, farebbe la fine delle precedenti. E questo non perché la maggioranza sia miseramente composta da gente prezzolata e servile, come la dipingono gli avversari ogni volta che ne falliscono l'assalto. O perché manchi di dissidenti simili al già ricordato Pisanu. Il fatto è che costoro possono pur essere stanchi di Berlusconi, o delusi, ma sono ancora più stanchi e si fidano ancor meno dei suoi avversari per svolte politiche capaci di mettere davvero le cose a posto. Per cui guardano alla crisi giustamente come a un rimedio peggiore del male, e la scongiurano ogni volta che ne hanno l'occasione. Senza la pretesa, per carità, di conoscere Giorgio Napolitano meglio di Scalfari e di altri suoi coetanei, amici o ex compagni, che stanno lì a tirargli continuamente la giacca con l'aria furbesca di volergliela solo stirare addosso con il ferro caldo dei loro appelli melliflui, dubito fortemente che certi improvvisati esperti o esploratori dei mercati potranno mai essere presi sul serio, in caso di crisi, dal presidente della Repubblica. E strappargli a cuor leggero i decreti di nomina di un nuovo governo che, comunque lo si volesse chiamare, non potrebbe fare a meno di un programma reale e serio, non immaginario, e di una maggioranza parlamentare altrettanto reale e seria, fatta di numeri. In mancanza dei quali Napolitano sa bene che i mercati, i famosi mercati, non se ne starebbero lì a guardare, sornioni e pazienti, come vorrebbero i loro tardivi e per niente affidabili estimatori.  

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