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La Giunta decide su Milanese. La GdF: "Era referente esclusivo"

Marco Milanese

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Il caso Milanese torna alla ribalta. La Giunta per le Autorizzazioni della Camera riprenderà oggi l'esame della richiesta di arresto per l'ex collaboratore del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. E lui, proprio alla vigilia, prova il colpo a sorpresa: una denuncia nei confronti di Paolo Viscione, l'imprenditore che lo ha accusato raccontando ai giudici di Napoli di avergli fatto una serie di regali in cambio di favori. La mossa rende evidente la strategia del deputato Pdl: la richiesta alla Procura di Roma di accertare la fondatezza delle accuse, infatti, mette i membri della Giunta di fronte alla necessità di compiere una scelta netta tra lui e il suo accusatore. «La mia parola contro la sua», insomma. Intanto ieri, in giunta, sono state depositate - provenienti dalla Procura di Napoli - sia le carte richieste dallo stesso Milanese il 27 luglio scorso che quelle volute dal relatore, Fabio Gava. Tra queste il verbale dell'interrogatorio a Cosimo D'Arrigo, ex comandante della GdF. Le parole del militare gettano alcune ombre sull'operato di Milanese, e non solo. Il fatto che il ministro dell'Economia, avesse dato, all'epoca dei fatti, «uno strapotere» a Milanese nei confronti della Guardia di Finanza, facendolo diventare, in pratica, «il referente esclusivo», creò «qualche problema di ordine pratico e un complessivo rallentamento dell'attività anche funzionale» dell'arma, spiega D'Arrigo. Secondo l'ex comandante delle Fiamme Gialle, il fatto che il deputato Pdl fosse stato indicato da Tremonti come unico referente per la GdF comportava anche un altro problema: in alcuni casi, anche in ordine ad alcune nomine o trasferimenti, venivano bypassati i vertici dell'arma. Tra Milanese e la procura di Napoli si crea poi un vero botta e risposta a suon di perizie sul tenore di vita del deputato Pdl. Secondo la procura di Napoli l'ex braccio destro di Tremonti dal 2006 al 2011 avrebbe preso come cifra complessiva dei vari emolumenti che gli provenivano dai diversi incarichi a lui affidati 1.368.000 euro. Alla relazione tecnica dei pm rispondono però i legali del deputato con una consulenza di parte che dimostrerebbe, grazie alle dichiarazioni fiscali degli ultimi anni, che Milanese poteva contare su flussi economici rilevanti anche prima del suo ingresso in politica (360mila euro nel 2005, 500mila nel 2006, 713mila nel 2007 e 400mila l'anno successivo). Soldi leciti, e non proventi di dazioni illegali, come ipotizzato dall'accusa, che gli avrebbero consentito l'accensione di leasing per auto e barche di lusso. Nel fascicolo arrivato da Napoli c'è anche, infine, la lista degli accessi del deputato alla sue cassette di sicurezza di Milano e Roma. Si tratterebbe di tre, quattro visite al mese che, secondo l'ipotesi della procura, potrebbero essere servite per svuotarle. Solo a Milano, nel periodo precedente alla richiesta d'arresto, l'ex consulente di Tremonti visitò le cassette 17 volte. Quando, ad agosto, furono ufficialmente aperte, all'interno furono trovati alcuni orologi di valore, un braccialetto della figlia e un certificato di garanzia di una fedina di brillantini. Guerra di perizie a parte, adesso la parola passa alla Giunta, che si pronuncerà entro questa settimana. La prossima, invece, sarà l'Aula a votare. Milanese deve guardarsi dalla presenza di qualche "franco tirator" all'interno del suo stesso partito. Nel Pdl non mancano i mal di pancia e non pochi sono coloro che sarebbero pronti a colpire Milanese per mettere in difficoltà il ministro Tremonti. E il Carroccio anche in questa occasione (come nel caso Papa) appare diviso al suo interno. La corrente legata al ministro Roberto Maroni sarebbe pronta a votare a favore della richiesta della procura di Napoli. Garantisti, invece, i leghisti del «cerchio magico», vicini a Umberto Bossi.

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