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La casta dei giudici si salva dai tagli

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Tagli alla «casta»? Sì, ma non troppi. Infatti a voler guardare bene sembra proprio che una parte della «casta» sia, come direbbe George Orwell, più «casta» dell'altra. Tutto ha avuto inizio il 13 agosto scorso. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, avevano appena comunicato alla presidenza della Repubblica il testo della manovra votata dal Parlamento. Un fascicolo di 189 pagine che riserva l'intero Titolo IV alla «riduzione dei costi degli apparati istituzionali». Un capitolo che si apre con l'articolo 13 dove, al comma 1, si dispone che «a decorrere dal mese successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai membri degli organi costituzionali si applica, senza effetti ai fini previdenziali, una riduzione delle retribuzioni o indennità di carica superiori ai 90.000 euro lordi annui(...) in misura del 10% per la parte eccedente i 90.000 euro fino ai 150.000 euro, nonché del 20% per la parte eccedente 150.000 euro. (...)». Poi ieri mattina, non appena il governo depositava al Senato il testo del maxi-emendamento alla manovra sul quale chiedeva la fiducia, ecco la sorpresa. A quello stesso comma 1 dell'articolo 13 veniva inserita una precisazione: «dopo le parole "organi costituzionali" aggiungere le seguenti: "fatta eccezione per la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale». Un favore al Quirinale e al Palazzo della Consulta che ha immediatamente sollevato le ire del leghista Roberto Castelli, viceministro alle Infrastrutture, diventato, per l'occasione, il protagonista di un duro botta e risposta con il Colle. «Sappiamo tutti che la manovra è necessaria e che ciascuno, per la propria parte, è stato chiamato a fare dei sacrifici. La cosiddetta "casta" dei politici ha stabilito il taglio dell'indennità, il contributo di solidarietà e il limite al cumulo con lo svolgimento della libera professione, dopo aver decurtato già a inizio anno i propri emolumenti. È giusto che le "caste" concorrano prima e più degli altri a fare sacrifici per dare il buon esempio. Ma - e qui inizia la denuncia di Castelli - c'è una super casta romana che non se ne vuole dare per inteso e vuole mantenere tutti i propri privilegi. Infatti nel maxi-emendamento del governo si può trovare una disposizione che esonera dal taglio delle indennità prevista per tutti gli organi costituzionali i super boiardi della Corte Costituzionale e della Presidenza della Repubblica». Il tutto corredato da un appello a Giorgio Napolitano «affinché intervenga a sanare questa... ciascuno la giudichi come crede». Un intervento che non si è fatto attendere tanto che nel pomeriggio una secca nota del Quirinale risponde all'esponente leghista: «In relazione alla dichiarazione del senatore Roberto Castelli secondo cui non si sa quali "super boiardi" della Presidenza della Repubblica sarebbero esclusi dal contributo di solidarietà, si rileva non solo che il Quirinale è estraneo alla formulazione della norma contenuta nel maxi-emendamento del Governo di cui Castelli fa parte, ma anche che a tutto il personale della Presidenza già si applica il contributo di solidarietà a suo tempo introdotto per la pubblica amministrazione». «Naturalmente - conclude la nota - ogni determinazione in materia può essere esplicitata dal Governo; è ad esso che spetta dare chiarimenti e indicazioni in proposito». Accuse e precisazioni che non sono piaciute al senatore del Carroccio tanto da costringerlo all'ennesimo sfogo: «In merito alla nota del Quirinale preciso quanto segue: in primo luogo non ho mai detto, come si può del resto evincere dalla mia precedente nota, che la manovra sia stata ispirata dal Quirinale. In secondo luogo anche io non so quali e quanti siano i super boiardi che beneficeranno di questa norma». «Fortunati» che, come continua Castelli, «dovrebbero essere gli uffici della Presidenza della Repubblica e della Corte Costituzionale a dirci quanti e chi siano». Richiesta che, invece, almeno fino a ieri sera, è rimasta senza risposta. Eppure, se da una parte Castelli ha lanciato la propria offensiva contro i «boiardi romani» forse, dall'altra, ha dimenticato di bacchettare anche chi ha voluto inserire nell'emendamento uno sconticino sulla riduzione dell'indennità per i Parlamentari che svolgono anche un'altra attività lavorativa. Infatti sempre l'articolo 13, ma questa volta al comma 2 lettera a), prevedeva che l'indennità parlamentare sarebbe stata decurtata del 50% per chi svolge «un'attività lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15% dell'indennità medesima». Norma che il governo, con il maxi-emendamento ha modificato trasformando la riduzione dell'indennità «in misura del 20 per cento per la parte eccedente i 90.000 euro e fino a 150 mila euro, in misura del 40 per cento per la parte eccedente i 150 mila euro». In altre parole, i parlamentari professionisti, in primis gli avvocati, sono riusciti, con una raccolta firme, a limitare i "danni" previsti dalla prima versione della manovra.

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