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L'8 settembre del Belpaese

Il presidente della Bce Jean-Claude Trichet

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Giovedì prossimo è il D-day del Paese, del governo, della nostra classe politica e soprattutto dei nostri portafogli: i 23 membri del board della Banca centrale europea si riuniranno per decidere se procedere con l'acquisto dei nostri titoli pubblici – il paracadute aperto lunedì 8 agosto – oppure staccare la spina. La Bce torna a discuterne a un mese esatto da quell'intervento, seguito ad un weekend che tenne tutti con il fiato sospeso, nel cuore dell'estate. Dunque casualmente giovedì è anche l'8 settembre: una data non proprio fausta. Come sono andate le cose in questi 31 giorni lo sappiamo e lo scriviamo da tempo. L'ultima goccia è la notizia del possibile declassamento di rating da parte di Moody's. Nel frattempo il governo ha dovuto modificare in tutta fretta la manovra “di manutenzione” di luglio, tanto di manutenzione che lo spread tra Btp ed i Bund aveva superato prima i 300 poi i 400 punti. Non sono cifre astratte: il differenziale indica i rendimenti da pagare per far sì che i titoli italiani trovino compratori. Quei livelli, se mantenuti tutto l'anno, comporterebbero per il Tesoro un esborso aggiuntivo di 15 miliardi. L'azione calmieratrice della Bce lo ha impedito riportando lo spread sotto 300, un livello comunque elevato ma almeno provvisoriamente sostenibile. In cambio il presidente Jean-Claude Trichet e l'uomo che gli succederà tra breve, Mario Draghi, hanno preteso per scritto dal governo di Roma una serie di misure da inserire in una manovra correttiva, varata di volata il 12 agosto. Tempi eccezionali, comportamenti eccezionali senza troppo guardare alla pretesa separazione tra banca centrale, governi e politica. Ma negli ultimi giorni la forbice Btp-Bund è tornata ad allargarsi è ieri si è inerpicata fino a 370 punti. Nel frattempo la manovra governativa perdeva pezzi, e soprattutto alcune coperture certe dei saldi complessivi sostituendole con altre incerte. E' il caso del contributo di solidarietà rimpiazzato da norme stringenti anti-evasione fiscale. Non c'è dubbio che qualitativamente ed eticamente sia meglio far pagare gli evasori anziché i soliti noti. Purtroppo alla Bce, alla commissione di Bruxelles, ai governi di Berlino e Parigi a questo punto più che la qualità interessa la quantità. Non solo. Il sollievo temporaneo concesso ai Btp italiani dagli acquisti sul mercato secondario da parte della Bce ha generato l'idea di una situazione che si andava normalizzando. Altro errore: era un effetto-morfina, puramente artificiale, e a tempo. Anzi, la riduzione progressiva degli acquisti è stata correttamente interpretata come una pistola puntata sul nostro governo. Eppure le forze politiche – tutte, centrodestra e opposizione – hanno perso di vista l'urgenza della situazione rintanandosi ognuna nella difesa dei propri interessi. L'esempio lampante è lo sciopero generale indetto per oggi dalla Cgil, cui si è accodato il Pd. Ma non si possono tacere, nella maggioranza, la difesa delle pensioni di anzianità da parte della Lega e le continue scaramucce tra Cavaliere e Giulio Tremonti. Come ha scritto Mario Sechi, solo Giorgio Napolitano ha dato la sensazione di avere ben presente la situazione nella sua gravità e complessità, ma anche nella sua cruda linearità. A cominciare dal dichiarare che non accetterà di sfruttare l'emergenza per assecondare manovre di palazzo verso governi tecnici o di responsabilità nazionale. Governa chi ha la fiducia delle Camere, ha detto il capo dello Stato. E poi scusate, di quale responsabilità parliamo se l'opposizione si comporta come fosse sulla Luna? Non è escluso che oggi, quando la manovra approderà in Senato, ci sia lo spazio per un estremo tentativo di irrobustirla, un blitz che a questo punto potrebbe venire solo da Silvio Berlusconi: parliamo di Iva e di pensioni, le cose che interessano all'Europa. Però ne dubitiamo, e l'8 settembre potrebbe rivelarsi tale non solo per le coincidenze. Ma, detto tutto questo sulle nostre colpe e la manovra “flip-flop” come la definisce il Wall Street Journal, non si può neppure ignorare l'incredibile labirinto nel quale l'Europa si sta sempre più cacciando, facendosi del male e facendolo soprattutto ai suoi cittadini, instillando e assecondando ovunque, a tutte le latitudini, un egoismo miope che fa a botte con la retorica ufficiale e anche con il senso pratico. La Bce che impone le sue condizioni non fa un cattivo affare comprando Btp a tassi effettivi (dati dal rendimento rispetto al prezzo) intorno al sei per cento. Loro lo chiamano “azzardo morale”, ma questo azzardo da morale si trasforma in materiale solo se si ritiene che l'Italia possa andare davvero in default. Nonostante tutto ci siamo lontani. La Germania super-rigorista con i suoi partner europei non guarda tanto per il sottile quando deve fare affari con i mercati ed i paesi sui quali ha deciso strategicamente di puntare: Russia, Cina, Brasile (dove la Volkswagen ha appena superato la Fiat), e quel mondo islamico border line tra fondi sovrani e timidissime aperture alla democrazia. Le garanzie sui crediti agli investimenti che i paesi emergenti offrono alla Mercedes o alla Deutsche Bank sono meno rischiose degli spread dei Btp? La Libia dovrebbe insegnare qualcosa. Stesso discorso per la suprema ipocrisia dei soldi concessi da tedeschi, francesi, inglesi e olandesi alle loro banche, che fino a pochi mesi fa investivano a piene mani nel boom immobiliare spagnolo o nella bolla finanziaria irlandese. Non è azzardo morale – oltre che aiuto di Stato – anche quello? Non sono quattrini dei contribuenti? La realtà, lo ripetiamo, è che quella a cui stiamo assistendo in Europa, come in tutto l'Occidente, è una gara al ribasso tra leadership deboli e debolissime. Angela Merkel ha appena subito l'ennesima batosta nelle elezioni in Meclemburgo-Pomerania, perdendo oltre cinque punti a vantaggio dei socialdemocratici (e ben sette punti su nove gli alleati liberaldemocratici). Nel 2012 si terranno le presidenziali in Francia e l'attuale front runner socialista, Francois Hollande, distacca già nei sondaggi Nicolas Sarkozy con un programma tutto basato sulla “distribuzione della ricchezza” per debellare una disoccupazione che supera il 9 per cento, molto più che in Italia. Per non parlare della Spagna, dove il ritorno dei popolari è già scontato, o degli Usa, dove Barack Obama può vantare il rischio recessione e una disoccupazione da record, mentre le grandi banche fanno ottimi affari. Dunque nel giro di due anni le guide e le agende politiche dei principali paesi occidentali potrebbero cambiare. A vantaggio della sinistra, ma anche della destra. Ma quali saranno queste agende nessuno lo sa: basta del resto guardare al vuoto dell'opposizione italiana. A testimonianza che tra gli effetti collaterali di questa epoca c'è anche aver privato gli elettori di quei valori e di quei programmi che dal dopoguerra ad oggi hanno, nel loro aperto e chiaro contrasto, costituito la nostra identità e consentito il nostro progresso.

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