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"Scopo della politica è la giustizia"

Il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco

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Esiste una dimensione pubblica della fede che non deve rimanere «in sacrestia». La Chiesa non può essere messa a tacere perché ha il dovere di evitare che «la società non diventi dei forti e dei furbi, cioè disumana». Angelo Bagnasco, presidente della Cei, spiega il rapporto tra fede e politica ai ragazzi della Summer School organizzata dalle fondazioni Magna Carta e Italia Protagonista, animate rispettivamente da Gaetano Quagliariello e Maurizio Gasparri. È una lectio magistralis decisa: «Qualcuno, oggi, vorrebbe che la Chiesa tacesse perché ogni sua parola viene giudicata come un'ingerenza nelle questioni pubbliche e politiche. La preghiera, si pensa, in fondo non fa male a nessuno e la carità fa bene a tutti. In altri termini - sottolinea il presidente della Cei - si vorrebbe negare la dimensione pubblica della fede concedendole la sfera del privato. È singolare, però, che a tutti si riconosca come sacra la libertà di coscienza, mentre dai cattolici si pretenda che prescindano dalla fede che forma la loro coscienza». Quella operata dal cardinale Bagnasco tenta di essere una rivoluzione copernicana: «La visione etica connessa alla fede cristiana non è qualcosa di esclusivamente cristiano in senso particolaristico, ma piuttosto la sintesi delle grandi intuizioni etiche del genere umano - spiega - Essa non è un onere pesante riservato ai cristiani, bensì la difesa dell'uomo contro il tentativo di pervenire alla sua eliminazione. Per questo - qui la rivoluzione - la morale è la liberazione dell'uomo e la fede cristiana è l'avamposto della libertà umana». Da qui l'obbligo morale per la Chiesa «di dire ciò che deve perché l'umano non scompaia dal mondo e perché la società non diventi dei forti e dei furbi, cioè disumana». Alcuni paletti sono, per l'arcivescovo di Genova, inamovibili. Su alcuni principi fondamentali non è possibile fare «mediazioni». «Certi valori, come nel campo della vita e della famiglia, della concezione della persona, della libertà e dello Stato, anche se sono illuminati dalla fede, sono anzitutto bagaglio della buona ragione. Per questo sono detti "non negoziabili"», ribadisce. Fin qui i doveri della Chiesa. Anche la politica, però, ha il suo bel da fare. «La Chiesa da sempre considera la politica come una forma alta di carità. Il politico, infatti, è colui che per amore si dedica alla giustizia. Decide, cioè, di dedicarsi alla vita sociale, al suo buon funzionamento, sapendo che lo scopo della politica è la giustizia - ammonisce - Inseguire desideri o esigenze puramente singolari trascurando i bisogni generali, è ingiusto anche se può essere conveniente». Il Palazzo, insomma, non deve tirarsi indietro, ma imparare a indirizzare il mondo che cambia: «Missione della politica non è passiva registrazione di ciò che accade nella società al fine di ratificare; certamente deve anche essere attenta verso i mutamenti sociali e culturali, ma non in modo supino e acritico. Essa ha anche una funzione di guida, non solo di presa d'atto dei fenomeni», insiste Bagnasco. La strada è segnata. Quagliariello, padrone di casa, dando il benvenuto ai ragazzi della Summer school, coniuga al presente la lectio magistralis del presidente della Cei: «In un contesto di crisi epocale e di fine delle ideologie, i principi del cristianesimo hanno assunto una responsabilità ancora più grande: quella di rivolgersi a tutti gli uomini, credenti e non credenti. Per questo promuovere un momento di confronto sul rapporto tra Chiesa e politica è innanzi tutto una scelta laica». Rivolto agli studenti, poi, aggiunge: «Sapevamo che il percorso di costruzione del Pdl non sarebbe stato sempre facile. Ma sappiamo anche che si fonda su radici molto solide. L'importante - conclude - è non dimenticare mai che questa conquista si deve fondare sul riferimento a comuni radici ideali e culturali, che non devono diventare ideologie opprimenti ma guidarci negli atti quotidiani ai quali una politica che si ispira al bene comune è chiamata».

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