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Piazza Affari crolla e lo spread vola

Mercati, operatori della Borsa di Parigi

Tokyo ai minimi, Wall Street vede nero

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L'attacco è ripartito. La speculazione è entrata ancora una volta nelle borse europee è ha seminato terrore. Così anche ieri è stato un giorno nero per le contrattazioni. A Piazza Affari l'indice Ftse Mib ha ceduto il 4,83%. Sono andati in fumo 16,3 miliardi di euro e il listino milanese ha segnato un altro record negativo tornando sui minimi di fine marzo 2009. Un crollo che si innestato sulla corsa al rialzo dello spread tra Btp e Bund tedeschi (la differenza tra il rendimento di titoli italiani e quelli di Berlino che registra la fiducia degli investitori nella credibilità di un paese) arrivato a 365 punti base. Alla base delle gigantesche vendite di titoli i timori sui debiti sovrani dell'Ue. Una paura che colpisce sempre di più anche l'Italia. Su Roma si sono addensate ancora più nubi quando, nella giormata di ieri, sono tornati nuovi rumors su un possibile declassamento dell'Italia da parte di Moody's. Il periodo di osservazione di tre mesi scadrà a breve e l'agenzia statunitense ha sottolineato che il rating sovrano dell'Italia, «è attualmente AA2 ed è sotto osservazione per un declassamento». E che il timore che una nuova batosta si abbatta sulla credibilità delle obbligazioni statali italiane non sia solo una remota possibilità è arrivato dal livello dei credit-default swap (Cds) sull'Italia. I contratti derivati con cui ci si protegge dal rischio d'insolvenza, sono volati al massimo storico di 422,5 punti. E se il costo dell'assicurazione per proteggersi dal fallimento dello Stato italiano è in aumento significa che gli analisti prevedono questo evento con una maggiore probabilità. Il rischio è comunque alto in tutta Europa. Livelli record si sono registrati anche per i cds francesi (179 punti). In forte rialzo anche quelli greci (a 2.428 punti), irlandesi (825) e spagnoli (410). Lo tsunami di vendite ha travolto comunque tutti i listini europei. Lo scivolone ha mandato in fumo 253,7 miliardi di euro in capitalizzazione. L'indice d'area Stoxx 600, che fotografa l'andamento dei principali listini del Vecchio Continente, ha lasciato sul terreno il 4,14%. In una giornata che ha visto Wall Street chiusa per la festa del Labour Day, hanno comunque pesato ancora i dati sul mercato del lavoro Usa di venerdì scorso, che hanno certificato che la prima economia mondiale non ha creato nuovi posti nel mese di agosto. Intanto altri timori sono arrivati dalla soluzione della crisi greca. Si è aperto un nuovo fronte che vede altri Paesi seguire la richiesta finlandese di garanzie da parte di Atene per la concessione di nuovi aiuti. Tutte le borse europee hanno comunque sofferto. La maglia nera è andata a Francoforte, che ha scontato la sesta sconfitta consecutiva della Cdu di Angela Merkel in un'elezione regionale. L'indice di riferimento tedesco, il Dax, ha ceduto il 5,28% a 5.246,11 punti. Il Cac 40 di Parigi è arretrato del 4,73% a 2.999,54 punti. L'Ibex di Madrid ha perso il 4,69% a 8.066,5 punti. La meno peggio è stata Londra, dove il Ftse 100 è scivolato del 3,58% a 5.102,58 punti. Sui mercati alle preoccupazioni degli ultimi giorni si sono aggiunte le notizie della scorsa settimana secondo le quali la Federal Housing Finance Agency (Fhfa), l'agenzia Usa che controlla Fannie Mae e Freddie Mac, cercherà di recuperare miliardi di dollari in un'azione legale che potrebbe coinvolgere 17 istituti. Oltre ai grandi nomi americani (sotto i riflettori c'è soprattutto Bank of America) nell'elenco dei possibili coinvolti figurano anche grandi nomi europei come Deutsche Bank, Barclays, Rbs, SocGen, Credit Suisse e Hsbc. Si è aperta una settimana ancora cruciale dunque per il destino delle economie occidentali. La sensazione che si respira è che gli interventi di sola comunicazione non siano più efficaci a riportare calma sui mercati. Servono interventi autorevoli. Ma in questo momento il deficit di autorevolezza dei leader politici europei è molto più elevato che nel passato. La situazione tedesca è esemplare. La difesa dell'euro a tutti i costi, caposaldo della politica economica di Berlino, e portata avanti ostinatamente dal cancelliere Angela Merkel, sta costando cara ai teutonici. L'export, che ha consentito alla Germania di trasformarsi nella locomotiva europea, sta rallentando. I prodotti made in Germany rischiano ora, sotto i colpi della recessione, di essere troppo cari per i mercati emergenti. Il Pil tedesco in fase di rallentamento potrebbe creare problemi anche alle finanze statali di Berlino. Insomma anche la leadership della Merkel si potrebbe appannare velocemente. E trascinare nell'incertezza l'intera costruzione europea. L'euro insomma come già pronosticato potrebbe deflagrare molto presto senza una coesione politica europea in grado di dare sostegno solido alla moneta unica. Anche ieri sotto attacco e sostenuta da evidenti interventi di sostegno da parte della Banca Centrale Europea. L'euro ha rotto il supporto di quota 1,41 nei confronti del dollaro. Un livello che potrebbe aprire una nuova fase della divisa Ue. Una discesa controllata che potrebbe ridare ossigeno alla macchina produttiva Ue. Per ora solo un'ipotesi. Ma in un momento come questo. Varrebbe la pena di testarla.

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