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Riparte la corsa alle mega commesse

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Romani: in arrivo un provvedimento per le imprese danneggiate. L'Italia manterrà le posizioni acquisite

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Isettori strategici sono quelli energetico con gas e petrolio, delle telecomunicazioni e delle infrastrutture. Il presidente della Camera di commercio ItalAfrica centrale, Alfredo Cestari, sostiene che «dopo oltre cinque mesi di guerra il danno complessivo per le imprese italiane è enorme, oltre 100 miliardi di euro. Il conflitto ha determinato il blocco di ogni tipo di attività». Cestari spiega che «per le imprese italiane sarà difficile ripristinare in Libia i contratti sottoscritti con il governo Gheddafi. Non esiste alcun automatismo nè dipenderà dall'esclusiva volontà del futuro esecutivo di Tripoli. Il prossimo esecutivo libico potrebbe avere difficoltà ad assecondare le esigenze dell'Italia per le sicure pressioni dei governi degli altri Stati interventisti. Anche partendo alla pari nella corsa alla ricostruzione ed allo sviluppo della Libia -sottolinea- l'Italia avrà perso le posizioni acquisite in decenni di consolidati rapporti economico-finanziari, imprenditoriali ed industriali a vantaggio di Francia ed Inghilterra». Cestari spiega che «Parigi in questi mesi ha guadagnato molto terreno dalla strategia dei bombardamenti a tutto vantaggio del proprio sistema economico. È quindi illusorio -prosegue- affermare che a fine guerra si ripartirà a parità di condizioni: le aziende italiane erano regine e protagoniste in Libia; in un prossimo futuro dovranno faticare molto per riconquistare le posizioni azzerate, perse». Ma un messaggio rassicurante arriva dal ministro dello Sviluppo economico. Paolo Romani annuncia che sarà presentato un emendamento per le imprese daneggiate. Poi si dice sicuro che anche con il nuovo governo libico l'Italia potrà mantenere le posizioni acquisite nel Paese. Ma vediamo quale è la presenza italiana in Libia. Secondo i dati della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale, le grandi imprese italiane operano soprattutto nei settori del petrolio e gas (Eni, Snam Progetti, Edison, Tecnimont, Saipem), delle costruzioni ed opere civili (Impregilo e Bonatti, poi Garboli-Conicos, Maltauro, Enterprise), della ingegneria (Techint e Technip), dei trasporti (Iveco, Calabrese, Tarros, gruppo Messina, Grimaldi, Alitalia), delle telecomunicazioni (Sirti e Telecom Italia), dei mangimi (Martini Silos e Mangimi); della meccanica industriale (Technofrigo - impianti refrigerazione e Ocrim - mulini); delle centrali termiche (Enel Power); dell'impiantistica (Tecnimont, Techint, Snam Progetti, Edison, Ava, Cosmi, Chimec, Technip, Gemmo). Sono presenti inoltre Telecom, Prismian Cables (ex Pirelli Cavi). «In Libia -spiega Cestari - le aziende italiane prima della guerra avevano in corso investimenti pluriennali per somme ingentissime, fino a un centinaio di miliardi di euro. Investimenti che si sono persi come anche i posti di lavoro». In assoluto il maggiore investitore nel Paese è Eni, presente in Libia sin dal 1959 con le società Eni Oil e Eni Gas ed altre del gruppo operanti nel settore degli idrocarburi come Saipem, Snam Progetti (acquistata dalla prima). L'Eni aveva inoltre sottoscritto con Gheddafi accordi per il rinnovo delle concessioni fino al 2045. Altro importante investitore è Iveco (gruppo Fiat) presente con una società mista ed un impianto di assemblaggio di veicoli industriali. Tra gli investimenti e le commesse ad aziende italiane dalla Libia spiccavano Finaset (trading edil procurement) che attraverso la Cogel aveva ottenuto un contratto di alcune centinaia di milioni di euro per la ristrutturazione al centro di Tripoli di diverse costruzioni di origine italiana, di parte della Medina e del vecchio Monopolio dei tabacchi e la Italflex. La Sirti, con la francese Alcatel, aveva chiuso un contratto per la fornitura e messa in opera di oltre 7.000 km di cavi di fibre ottiche per 161 milioni di euro. La Prysmian Cables & Systems di Milano (ex Pirelli Cavi) per 35 milioni di euro si doveva occupare della fornitura e posa di cavi a larga banda nella rete del Libya General Post and Telecommunications Company (GPTC). La Agusta-Westland aveva ottenuto una commessa per la fornitura di 10 elicotteri con relativi corsi di formazione ed assistenza post-vendita mentre l'Alenia Alemacchi un programma di formazione e revisione dei sistemi di propulsioni su 12 aerei. Impregilo aveva ottenuto contratti per oltre 1 miliardo di euro per la costruzione di tre centri universitari, del nuovo Centro Congressi di Tripoli e per infrastrutture da realizzare a Tripoli e Misurata. La Trevi stava lavorando alla costruzione del nuovo Hotel Al Ghazala, al centro di Tripoli e di due centri commerciali. Le compagnie Tarros, Messina e Brointermed, gia operanti in Libia da circa 20 anni, hanno costituito un consorzio che, in alleanza con la locale Germa Shipping Agency, avrebbe dovuto costruire un terminale per Container su 150 mila metri quadri presso il porto di Tripoli. Infine l'autostrada dell'amicizia, chiesta da Gheddafi al Governo Italiano quale risarcimento finale per i danni subiti dalla colonizzazione italiana. Ovvero 1.700 km (da costruire in 20 anni) che avrebbero dovuto congiungere Rass Ajdir a Imsaad, il confine con l'Egitto a quello con la Tunisia. La spesa prevista era di 3 miliardi di dollari. L.D.P.

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