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La Lega non difenda gli sperperi

Il leader della Lega Bossi (S) con il ministro Calderoli

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Roma non ha dovuto attendere molto - solo una ventina d'anni, una inezia nella sua storia plurimillenaria - per prendersi la rivincita sulla Lega. Che le aveva dato della «ladrona» sbarcando in forze nel 1992 in Parlamento. Se c'è un partito che nella doppia manovra finanziaria e fiscale di questa dannata estate ha difeso sperperi come l'anticipo delle pensioni, le province e i carrozzoni municipali, anche a costo di aumentare vecchie tasse e crearne di nuove, è proprio la Lega. Più ancora del Pdl e di Silvio Berlusconi in prima persona. Il presidente del Consiglio non ha tutti i torti quando chiede comprensione, e cerca di tamponare il sangue che gli «gronda dal cuore», dicendo di avere dovuto subire le scelte del suo ingombrante alleato, Umberto Bossi, e del ministro che più gli tiene banco, Giulio Tremonti. Che tuttavia rimedia anche lui ogni tanto dai leghisti sfottò e minacce. Certo, il Cavaliere avrebbe potuto, per alcuni amici persino dovuto, preferire le dimissioni a due manovre come quelle che ha sfornato facendo imbufalire il proprio elettorato e prenotando una sonora sconfitta alle prossime elezioni politiche, se mai gli tornerà la voglia di ricandidarsi a Palazzo Chigi per stato – dice lui – di «emergenza». Ma una crisi governativa, bisogna onestamente riconoscerlo, avrebbe peggiorato la situazione del Paese in piena turbolenza dei mercati, a vantaggio solo degli speculatori, finanziari prima e più ancora che politici. Per quanto reclamata a gran voce dai soliti Antonio Di Pietro, Nichi Vendola, Dario Franceschini, Rosy Bindi e Pier Luigi Bersani, una crisi di governo in questa stagione economica e finanziaria fa paura pure alle opposizioni. Che in cuor loro, anche se a dirlo esplicitamente sono solo Pier Ferdinando Casini e l'ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea Romano Prodi, desiderano che Berlusconi e l'intero governo rimangano ben fermi al loro posto. E ciò sia perché, come dice Prodi, non si cambia pilota durante la tempesta, sia perché agli avversari di Berlusconi fa comodo che sia lui a prendersi tutta la responsabilità e impopolarità delle misure necessarie a fronteggiare la situazione. In questo quadro il comportamento della Lega, somigliando a quello della peggiore opposizione, è doppiamente grave. Bossi e i suoi uomini, e donne, di cui purtroppo si fanno sempre più labili i confini fra consiglieri e badanti, tutti comunque ben remunerati dai contribuenti, anziché sforzarsi di alleggerire e di condividere le responsabilità delle scomodissime decisioni del governo, cercano di tirarsene fuori e di scaricare tutti o quasi gli oneri della impopolarità sul maggiore partito della coalizione e sul presidente del Consiglio. Loro, i leghisti, si prendono agli occhi degli aspiranti alle pensioni anticipate il merito di tutelare i diritti cosiddetti «acquisiti» e lasciano a Berlusconi il demerito di finanziare questo lusso con un salasso del ceto medio. Che già paga, per scelta dell'ultimo governo di Prodi, sopra i 70 mila euro lordi di reddito annuo il massimo dell'aliquota fiscale ed ora si ritrova, per scelta di questo governo, a pagare una tassa suppletiva del 5 per cento sopra i 90 mila euro e del 10 per cento sopra i 150 mila. Le prove di questa autentica rapina fiscale, per quanto camuffata come «contributo di solidarietà», erano state imposte dalla Lega al governo già nella prima manovra estiva colpendo le pensioni enfaticamente definite «d'oro». Riuscito il colpo con questa truffa semantica, l'operazione è stata estesa con la seconda manovra a tutti, anche ai non pensionati. Che essendo però più numerosi, non sono passati inosservati come gli altri. E costituendo un bacino elettorale non di poco più di mezzo milione di contribuenti che dichiarano redditi sopra i 90 mila euro lordi l'anno, ma di quasi due milioni di cittadini interessati per coinvolgimento familiare, costituiscono un problema grosso come una casa per chi cerca voti e consenso nell'area di centrodestra. Se dalle pensioni anticipate passiamo alle province, lo spettacolo dissipatore della Lega non migliora di certo. Si è rapidamente capito che tra le competenze riconosciute in materia alle Regioni a statuto speciale, le soglie di popolazione e di dimensione territoriale furbescamente combinate dai leghisti e altri espedienti, le province destinate a sopravvivere alla riduzione annunciata con la seconda manovra saranno tantissime. E tantissimo il danaro che si continuerà a buttare per mantenerle. O per finanziare le tante aziende municipali – a cominciare da quelle dell'acqua difese nel referendum di giugno – dove la Lega ha scoperto il gusto del potere, e sottopotere, e non intende rinunciarvi. La sua è ormai una penosa rincorsa dei vecchi partiti ai quali voleva una volta contrapporsi. Resta da chiedersi a questo punto se il Carroccio si possa ancora considerare socialmente omogeneo ad una coalizione di stampo liberale solo perché l'attuale legge elettorale ne moltiplica, con il premio di maggioranza, il potere contrattuale. O ricattatorio.

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