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Sbagliato fare la predica agli italiani

Gli spot del governo contro l'evasione fiscale

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Caro direttore, hai ragione: l'evasione fiscale è una piaga da combattere. La sensazione, però, è che lo spot pubblicitario contro i furbetti dell'F24 sia stato lanciato dal governo nel momento più sbagliato. Aumentando la produzione di bile degli italiani. «Stiamo per affrontare la (seconda) crisi del secolo e lo Stato ci fa la predica sulle tasse da pagare? E la casta delle case pagate in nero viene a parlare di parassiti proprio a noi che abbiamo appena saldato il conto all'Erario partendo per le (sempre più brevi e sempre più magre) vacanze con le tasche vuote?», ecco cosa penserà il contribuente onesto quando vedrà lo spot del governo in tv. Sappiamo benissimo che la condizione di agibilità politica è quella che è. Sappiamo bene anche che Tremonti la riforma fiscale l'ha avviata, aprendo quattro tavoli tecnici. Ma come scrivi tu il tempo è scaduto, ed è stato fin qui troppo viziato dal consociativismo che ha appesantito i decreti sul federalismo fiscale fino a renderli un pachiderma che molto difficilmente abbatte spesa e tasse. Il tempo che manca non è quello della legislatura, di cui a dire il vero c'importa poco. È quello dei mercati, della concorrenza. È quello del futuro dei nostri figli. Per questo agli slogan della campagna («Chi evade le tasse è un parassita sociale», oppure «Stop a chi vive a spese d'altri») forse ne andava aggiunto un altro citando l'articolo 23 della Costituzione: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Come scrivi, accanto alla battaglia contro gli evasori il governo ha il dovere di varare subito una riforma delle imposte e delle tasse, dare al Paese un Fisco dal volto umano. Giusto. Il contribuente onesto però ha tutto il diritto di replicare: prima riformate e poi fateci la predica. Perché il costo dell'obbedienza fiscale è ancora troppo alto. Il tax freedom day, cioè il giorno dell'anno in cui possiamo finalmente metterci in tasca tutta la nostra paga senza prelievi fiscali, si è spostato sempre più avanti. Nel 2000, ultimo anno della legislatura di centrosinistra, il giorno della liberazione dalle tasse arrivava il 1° giugno. Nel 2010, dopo sette anni su nove con il Cavaliere a Palazzo Chigi, è arrivato cinque giorni dopo: il 6 giugno. Se poi contiamo i debiti per la spesa pubblica che stiamo accumulando e che dovremo un giorno o l'altro pagare, il dato è ancora più pazzesco: nel 2000 il tax freedom day arrivava il 5 giugno, quest'anno il 25. Venti giorni dopo. Lo Stato preleva a noi contribuenti onesti il 51% del nostro reddito lordo, più della metà di quello che ogni anno guadagniamo. Alle tasse dirette (657 miliardi di euro, pari mediamente a 43,2 per ogni 100 euro prodotti) si aggiungono quelle indirette o occulte. Tasse sulle tasse: l'Iva è calcolata sulle accise, che è un'altra imposta. Inquietante è anche il tempo necessario per espletare i pagamenti fiscali nel nostro Paese che si aggira sulle 285 ore l'anno. In Germania, invece, sono necessarie 215 ore, in Spagna 197 e in Danimarca 135. Anche il carico fiscale che grava sulle spalle dei piccoli imprenditori italiani non ha eguali in Europa. Se da noi il peso delle tasse sugli utili dell'azienda è pari al 68,6%, in Francia è al 65,8%, in Spagna al 56,5% e in Svezia al 54,6%. Le tasse allontanano gli investimenti. Prendi un campione del made in Italy come Prada che di recente si è quotata alla Borsa di Hong Kong. L'offerta iniziale pubblica non ha riscosso un particolare successo: le richieste di sottoscrizione (includendo gli investitori istituzionali) hanno superato l'offerta di sole cinque volte, un multiplo che per gli standard di Hong Kong non è affatto entusiasmante (quelle per una locale catena di negozi di borse, Milan Station, a metà maggio avevano superato l'offerta di 2100 volte). Uno dei motivi? Pare che un investitore anche non residente in Italia quando compra azioni di una ditta italiana, anche su una Borsa non italiana, debba pagare al fisco del Belpaese il 12,5% di imposta (o più, se ha una quota azionaria superiore al 2%) su dividendi e plusvalenze: non si sa bene in cambio di quali servizi a lui resi dallo stato italiano. Non solo. Alcuni cronisti finanziari dell'Hong Kong Economic Times si sono messi nei panni di investitori rispettosi della legge, hanno prima provato a ottenere informazioni dal Consolato italiano ad Hong Kong (senza successo), poi hanno telefonato al Dipartimento delle Finanze in Italia senza trovare nessuno che parlasse inglese, e quando hanno provato a mandare e-mail queste sono rimbalzate indietro per casella postale piena. Per cercare di rimediare, Prada ha promesso una guida fiscale in inglese. Nel frattempo, gli investitori scrupolosi che provano a parlare con il personale del Consolato (disponibili solo mezza giornata e solo tra lunedì e venerdì) si sentono rispondere che esso non è legalmente autorizzato a parlare per conto del fisco italiano, e al più ottengono copie di moduli IRPEF (in italiano). E comunque per prima cosa gli investitori devono far richiesta di codice fiscale italiano. It's enough. Tutte le grandi rivoluzioni sono nate dalla disobbedienza fiscale. Le tre radici della civiltà occidentale – l'antica Grecia, Roma e Israele – sono impastate di drammi e rivolte fiscali. Le tasse ebbero una funzione determinante in millenni d'impero in Cina. Nel Medioevo fu l'esaltazione a rendere sempre più incerta la presa dei signori locali sulla terra, e a favorire la nascita delle moderne monarchie nazionali. La guerra civile inglese, la rivoluzione americana e quella francese, tutte nacquero sul presupposto di una vasta, motivata e risoluta protesta fiscale, che da sommossa iniziale si trasformò in breve tempo in potente moto della storia. La Guerra di secessione americana tutti la ricordiamo per via dell'emancipazione degli schiavi, ma era per un diverso regime di tassazione a favore del Nord e delle sue manifatture che il Sud si separò dall'Unione e la combattè. La storia insegna che la prima vittima di un'imposizione ottusa è sempre stata la libertà.

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