Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

S&P taglia il rating Usa

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama

I Paesi del G7 a consulto

  • a
  • a
  • a

L'accordo per alzare il tetto del debito degli Stati Uniti non ha convinto i «signori» del rating. Così Standard&Poor's, una delle tre agenzie americane che assegnano i voti alla credibilità finanziaria di un Paese, ha abbassato la valutazione del debito americano dal massimo, ovvero AAA, a un gradino sotto: AA+. Tecnicamente significa che il Tesoro americano ha qualche difficoltà in più a rimborsare i titoli di Stato emessi per finanziare le spese federali e dunque per convincere gli investitori a sottoscriverli dovrà sborsare di più sotto forma di interessi più alti. Il significato è però politico ed anche con una forte connotazione storica. Gli Stati Uniti perdono per la prima volta nella loro storia il loro ruolo di leadership nell'economia mondiale. L'intero sistema finanziario planetario che poggia la sue gambe sul biglietto verde è fondato sul dogma «Usa uguale AAA», la scure di Standard&Poor's sugli Stati Uniti è quasi un attentato di lesa maestà. I titoli di Stato americani fino a oggi fra i più sicuri investimenti al mondo da ieri lo sono un po' meno. Non è stato un boccone facile da digerire per l'amministrazione Obama informata ufficiosamente dall'agenzia di rating dell'annuncio del downgrade. Il Dipartimento guidato da Timothy Geithner ha ricevuto la bozza della decisione alle 19 e 30 italiane di venerdì. E la risposta che è stata inviata quasi 3 ore dopo si è tradotta in un'accusa: S&P's ha commesso un errore da 2.000 miliardi di dollari. Anche se poi con lo stesso presidente Barack Obama, hanno di fatto ammesso qualche colpa: il processo per giungere all'accordo sul tetto del debito Usa, ha detto il capo della Casa Bianca, è stato «troppo lungo». Di fatto approvando la tesi dell'agenzia secondo la quale il «downgrade riflette la nostra opinione» sul piano di risanamento che non è adeguato a quanto «sarebbe necessario per stabilizzare nel medio-termine il debito». Non solo. S&P's evidenziando il vero punto debole del sistema americano ha sottolineato che «l'efficacia, la stabilità e la prevedibilità della politica americana si è indebolita in un momento» in cui le sfide fiscali ed economiche aumentano. Insomma sfiducia totale nella capacità della politica di rimettere in moto la macchina dello sviluppo americano. Un monito condito dalla previsione di un outlook negativo, e cioè la possibilità di un ulteriore ribassamento del rating nei prossimi due anni. Le altre sorelle Moody's e Fitch hanno mantenuto il rating di tripla A per gli Stati Uniti e il downgrade di una sola agenzia è più gestibile. Ma il taglio del rating delle ripercussioni potrebbe averle aumentando la mancanza di fiducia nel sistema politico e causando il downgrade di aziende e Stati, per i quali i costi di finanziamento potrebbero salire. La maggiore preoccupazione è verificare se la decisione avrà un impatto sull'appetito degli investitori esteri per il debito americano. Le lamentele del più grande tra questi, il governo cinese, non lasciano spazio a incertezze sul ruolo della Cina. L'ira di Pechino si è infatti abbattuta sugli Usa rei di «vivere al di sopra dei propri mezzi». Un monito tagliente per ricordare come siano finiti i giorni in cui lo «Zio Sam» poteva «tranquillamente sperperare i prestiti illimitati concessi all'estero» e rilanciare l'idea di sostituire il dollaro come valuta di riferimento globale. Il commento, dai toni insolitamente duri per Pechino, è apparso sull'agenzia ufficiale Nuova Cina. Con ogni probabilità, ispirato dall'alto, l'articolo ha sottolineato come «in qualità di primo creditore dell'unica superpotenza mondiale, la Cina ha tutto il diritto di chiedere gli Usa di risolvere i suoi problemi strutturali di debito e garantire la sicurezza degli asset cinesi denominati in dollari». Pechino va oltre e sottolinea poi come «i debiti in crescita e la ridicola lotta politica a Washington hanno danneggiato l'immagine dell'America all'estero» e indica anche le soluzioni per curare la «dipendenza dal debito» del paese fatte di «buon senso»: tagli «alla gigantesca spesa militare» e ai «gonfi costi della previdenza sociale».

Dai blog