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Loro, i politici, la chiamano antipolitica

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Dipiù. Etichettano come «demagogica» qualsiasi iniziativa volta a tagliare i costi del Palazzo. I cittadini, invece, quelli che da settimane scrivono a Il Tempo per abolire le Province e tutti gli altri che su Facebook (e sono quasi 370 mila) hanno creduto a Spider Truman e ai suoi (a volte inventati) "segreti della casta di Montecitorio", pensano si tratti di una lotta agli sprechi. Sì, perché mentre i timori del mercato sul debito sovrano italiano costringono i risparmiatori a stare col fiato sospeso e la manovra economica varata dal governo comincia a pesare in modo concreto sulle tasche degli italiani, le persone "normali", i lavoratori, i pensionati, quelli che non appartengono a nessuna casta cominciano a pretendere che i sacrifici vengano ripartiti in modo equo. Che la «stagione di austerità» colpisca anche i portafogli di chi siede in parlamento, in consiglio regionale o al tavolo - inutile per i più - delle 140 Province italiane. A far surriscaldare gli animi dell'opinione pubblica è spesso il confronto delle spese della politica nostrana con stipendi, bilanci e prime note degli altri Paesi europei. La rabbia non è peregrina. Basta guardare l'anticipazione che pubblichiamo dello studio condotto dall'Istituto Bruno Leoni sui costi della politica. Un primo dato da cui si può partire per evidenziare la quantità di risorse assorbite da Camera e Senato è il numero di parlamentari. Considerando alcuni Paesi europei simili all'Italia, per economia e istituzioni, vediamo che il nostro parlamento è uno dei più affollati. A guidare la classifica è il Regno Unito, con 1439 membri anche se ciò - spiega lo studio Leoni - non comporta una spesa maggiore, anzi. Noi, con i nostri 630 deputati e 315 senatori, ci piazziamo al secondo posto. Segue la Francia con i suoi 920 parlamentari. Interessante notare poi come, ai piedi del podio, i corpi legislativi degli altri Stati siano molto più snelli. Il Bundestag (il parlamento federale tedesco) conta 689 membri. Quello spagnolo, che pur si compone di due Camere (il Congreso de los Diputados e il Senado) raggiunge quota 614, in Italia superata dai soli deputati. Stando a quanto anticipato dall'Istituto Leoni, la classifica non cambia se si rapporta il numero dei parlamentari alla popolazione. «In Italia ci sono 1,57 parlamentari ogni 100.000 abitanti. Siamo secondi solo al Regno Unito (2,34 ogni 100.000) dove, però, la maggior parte di essi non ha una retribuzione mensile». Andiamo poi alle spese. Il parlamento italiano ci costa ogni anno circa un miliardo e mezzo di euro. Quanto spendono le altre Camere in Europa? I dati evidenziati dal documento dell'Istituto Leoni non faranno certo piacere ai politici di casa nostra. Perché, come direbbero loro, rischiano di «alimentare l'antipolitica». Se infatti paragoniamo il bilancio di Camera e Senato a quello dei parlamenti di Francia e Inghilterra (che hanno un numero di membri simile) possiamo notare che il Palazzo nostrano quanto a costi batte proprio tutti. La Assemblée nationale, ovvero la Camera francese, ha speso nel 2009 531.567.286 euro. La House of Commons inglese è costata sempre due anni fa 502.034.635 euro. Mentre Montecitorio taglia il traguardo con 1.039.397,23 euro. Lo stesso primato spetta a Palazzo Madama che nel 2009 ha speso 541.760.472,51 euro, contro i 344.025.371 euro del Senato francese e i 125.720.623 della House of Lords. L'anomalia italiana, insomma, esiste. I conti sono presto fatti. Il Parlamento francese, con quasi lo stesso numero di membri, riesce a spendere circa la metà di quello italiano. Le House inglesi, pur essendo molto più affollate, impiegano solo il 40% delle risorse necessarie a quello italiano. La Camera dei Lords (che comprende più della metà dei parlamentari britannici), infatti, non prevede indennità per i propri membri ma solo una retribuzione per la effettiva partecipazione alle sedute. Ecco perché il conto della politica sulle rive del Tamigi non è poi così salato. «Su base pro capite - prosegue lo studio dell'istituto Leoni - ogni cittadino italiano (inclusi neonati e ultracentenari) paga mediamente 26 euro all'anno per mantenere il proprio Parlamento, contro i 13 euro dei francesi e i 10 degli inglesi». Il confronto è ancora più impietoso se si passa, dal livello assoluto delle spese, alla spesa pro capite o, peggio ancora, al raffronto col reddito di una famiglia: «Il costo del parlamento italiano equivale al reddito netto accumulato dalla famiglia mediana in 101.116 anni». Più del doppio della famiglia mediana francese (cui bastano - si fa per dire - 44.275 anni per arrivare a coprire con il proprio reddito la spesa del parlamento) e quasi il triplo di quella britannica (38.602 anni di lavoro). I privilegi non si fermano qui. Il caso più eclatante - quello che spesso finisce nel mirino dei cittadini - sono le pensioni. Ottenute solo dopo cinque anni, senza il minimo criterio di equità attuariale: esiste cioè un forte squilibrio tra la somma dei contributi versati e la somma delle pensioni pagate ogni anno. Nel 2009 ad esempio, sottolinea l'Istituto Leoni «La Camera ha pagato 134.500.866,76 euro come assegni vitalizi per deputati cessati dal mandato: vitalizi che si suddividono in diretti, di reversibilità e in rimborso della quota di vitalizi sostenuta dal Senato. Nello stesso anno le entrate registrate nel bilancio della Camera alla voce "Entrate da contributi ai fini dell'assegno vitalizio" erano pari a 11.856.976,39 euro, neppure il 10%». E allora chiamatela antipolitica estiva, pura demagogia o lotta al privilegio. L'unica cosa evidente è che c'è qualcosa che non va. Se paga Pantalone, se gli onorevoli d'Oltralpe dimostrano che si può fare, che anche la casta di casa nostra metta mano al portafogli. Da subito.

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