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Il Senato salva l'ex pd Tedesco

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Il senatore Alberto Tedesco

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Alberto Tedesco chiede al Senato di dire sì agli arresti domiciliari ma l'Aula del Senato gli nega il consenso con 151 no, 127 sì e 11 astenuti. Il voto a Palazzo Madama arriva, dopo quello per Alfonso Papa alla Camera di ben diverso segno, poco dopo che il Pdl ha chiesto lo scrutinio segreto per "testare" le affermazioni delle opposizioni che avevano annunciato compatte il sì alla richiesta della Procura di Bari. Tedesco, oggi iscritto al gruppo misto e autosospeso da quello del Pd, cita a conclusione del suo discorso Pietro Nenni: «Si faccia ciò che si deve, accada quel che può». Ma alla fine è ben contento di non andare ai domiciliari. Ringrazia tutti e dice: «Non faccio il dimissionario per professione», confermando così di non avere alcuna intenzione di dimettersi, cosa questa che gli era stata chiesta a gran voce durante il dibattito che ha preceduto il voto. E il risultato scatena l'inevitabile, e prevista, polemica con parapiglia ed una rissa nel Salone Garibaldi, il piccolo Transatlantico del Senato. Oggetto: l'accusa lanciata da Domenico Gramazio (Pdl) che è uscito dall'aula imprecando contro quei 24 senatori democrat che, secondo lui, hanno votato con il Pdl per il no all'arresto, sconfessando così l'indicazione data dalla capogruppo Anna Finocchiaro. I soliti «franchi salvatori», ironizza qualcuno tra i presenti. Alla dura recriminazione di Gramazio, condita da spintoni, apprezzamenti salaci e quant'altro, replica il capogruppo del Pd che, conteggi alla mano - facendo la tara tra senatori presenti, in missione, e votanti - accusa direttamente la Lega di aver votato in maniera ben diversa dal sì all'arresto strombazzato in Aula proprio per mettere in difficoltà il Pd. «La lettura politica del voto - dice - è agevole. La Lega ha annunciato che avrebbe votato per concedere l'autorizzazione all'arresto e invece ha votato con il PdL. I numeri parlano chiaro; quelli delle opposizioni ci sono tutti. Quelli che mancano sono quelli della Lega», dice avanzando anche l'idea che i tempi del voto al Senato siano stati «tarati» sulla necessità della Lega di incassare prima alla Camera lo «scalpo» di Alfonso Papa per poi mettere in difficoltà le opposizioni al Senato stravolgendo il senso politico del loro voto per l'arresto. A cercar di metter ordine, politico e matematico, arriva il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri che ammette, tagliando corto, che al risultato finale hanno concorso «sicuramente anche voti della Lega e di alcuni del Pd. I numeri del Senato sono chiari». Certo Š che i maggiori sospetti, secondo i dati analizzati dal Pd, si addensano sul Carroccio. Il fronte per il sì era ben presente in Aula: per il Pd c'erano 101 senatori su 106, 12 IdV su 12 e 12 del Terzo polo su 12. Restano esclusi quelli dell'Udc, «ma basta aggiungerne un paio» che arriviamo a quota 125, molto vicina ai 127 dell'esito finale, dicono le fonti del Pd. Per la maggioranza erano presenti 118 senatori Pdl su 131, 10 senatori Cn su 10 per complessivi 128 voti. I calcoli del Pd aggiungono, ad occhio, dei senatori del Misto (5) e sottraggono l'astenuto Viespoli (Cn). Siamo a quota 132. Rispetto a 151 mancano una ventina di voti, e la Lega Nord, esclusa finora dal conteggio, ne conta 26 di cui oggi presenti in Aula erano 23. Da qui i maggior sospetti proprio sulla Lega Nord .

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