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Due giganti finiti nei guai

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Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi

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Silvio e Rupert gemelli diversi. Nemici-amici-nemici. Tycoon dei media. Padroni delle notizie, dell'entertainment, della scatola magica, la televisione. Berlusconi e Murdoch sono i due volti della stessa medaglia. La loro storia è uno scambio di ruoli in cui il pubblico e il privato si mischiano fino a diventare il coktail micidiale chiamato persuasione. Il caso ha voluto che la nitroglicerina sulla quale entrambi sono seduti abbia un nome: intercettazioni. Silvio le subiva. Rupert le fabbricava. L'altra parola chiave delle loro storie parallele si chiama libertà privata. Quando la storia di Berlusconi sarà chiusa, si vedrà che a quest'uomo non è stato risparmiato niente, neppure un briciolo della sua privatissima avventura umana è stato tralasciato dall'occhio pubblico e soprattutto dall'orecchio privato della giustizia italiana. E parallelamente, quando su Murdoch si sarà posata la polvere che ora turbina sul suo impero, vedremo con un lampo come la potenza dei media possa dare alla testa, far credere che tutto è manipolabile e proiettabile su uno schermo virtuale. Il magnate australiano, noto come lo Squalo, ha cominciato con i suoi manager-tabloid un videogame pericoloso, il gioco delle vite degli altri. Storie umane, disumane, giudiziarie. A un certo punto s'intersecano. La procura di Milano e Scotland Yard a caccia dei due Mogul della tv. A Milano s'intrufola nella camera da letto del signor B. e rivela private storie scosciate. A Londra chiude una centrale d'ascolto che svelava l'anima delle persone, dei personaggi, dei carnefici e delle vittime. La nazione del Papa e quella della Regina. Due Paesi completamente diversi, il primo tutto peccato e confessione, il secondo puritanesimo e "God save the Queen". Roma patria dell'intrigo bizantino, dell'arabesco politico, dell'allegro e scollacciato train de vie. La Londra della bombetta e delle impalpabili transazioni finanziarie targate City. What a different world! Che mondo diverso da Roma! Ma in fondo Rupert non è inglese, è australiano. E forse neppure Silvio è l'arcitaliano che abbiamo immaginato in tutta la sua era. Viene da Arcore: certo è Italia, ma così lontana da Bari, Palermo, per non parlare della siderale distanza tra il mondo del signor B. e Roma. Le storie di Berlusconi e Murdoch sono per forza eccezionali, nel principio e nella fine, nella costruzione dei rispettivi imperi e decostruzione/ricostruzione dell'immaginario collettivo. La televisione come specchio della realtà e le rotative dei giornali come rumore di fondo, sigla di apertura e chiusura della cronaca che si fa e si disfa in carattere tipografico, titolo, foto, sussurro e intercettazioni. Mediaset e News Corp. La prima colpita al cuore dal mega risarcimento giudiziario in favore del nemico di sempre, la seconda in bilico a bordo ring sotto i colpi della giustizia e della politica britannica. Un mix ad alto voltaggio dove basta un clic per restare fulminati. Silvio e Rupert hanno preso la scossa. Sono ancora vivi, ma che elettrochoc. Per entrambi è la carta il tallone d'Achille. Silvio ha il suo lato debole nella Mondadori, sinonimo di libri e giornali. Rupert perde il controllo del reame quando s'affida alle alchimie della regina Rebekah, la rossa che tutto poteva e tutto decideva al News of the World, il quotidiano degli scandali. D'altronde, quando ti siedi al tavolo da poker del potere, devi avere la carta in mano e loro ce l'avevano. A Rupert e Silvio potrebbe tranquillamente applicarsi il detto «È la stampa bellezza e tu non puoi farci niente». Eppure l'italiano dice di fare come la Thatcher e di non leggere i giornali, mentre l'australiano i giornali li adora, li fa, li crea come se fossero dei pupazzi di creta. Siamo sinceri: Rupert Murdoch è stato un editore eccezionale ma gli è sfuggita di mano la console della sua playstation. Silvio Berlusconi è stato un geniale interprete del costume italiano, il Drive In elevato a sistema di pensiero. Ma gli è sfuggita di mano la sceneggiatura e il finale non sarà un happy end. Traditi entrambi dalla tecnologia, dallo spettro elettromagnetico che ora si presenta davanti a loro come un vero e proprio fantasma. In inglese: phone hacking. Una sorta di dirottamento del traffico dalla cornetta al registratore. Per Silvio ci ha pensato la magistratura. Per Rupert i suoi collaboratori. In entrambi i casi il risultato è un disastro. Traditi dal telefono. Non dal video, non dalla parola scritta, ma dall'audio, in fondo quanto di più vecchio si possa immaginare se non fosse che le parole viaggiano per celle, sono mobili e nel caso dei nostri due soggetti d'autore conducono direttamente a celle per niente virtuali e molto reali: la prigione. Così Rupert e Silvio si ritrovano l'uno confuso nell'altro, in un meccanismo perverso per cui, abbattuto il muro della privacy e delle libertà fondamentali, tutto è permesso. Entrambi, in un paradosso unico sono inseguiti dalla giustizia. Eppure, a ben guardare, esiste anche lo scenario dell'ingiustizia. E poi, uno è l'intercettatore, l'altro è l'intercettato. Soluzione? Voglio lasciarla aperta, sarà il lettore a scrivere il finale della storia dei gemelli diversi.

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