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Chi manovra il Titanic?

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Silvio Berlusconi

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Dice un uomo molto vicino a Fini: «Ormai a Palazzo Chigi s'è seduto Napolitano». Sarebbe una normale battuta estiva da Transatlantico se non fosse pronunciata direttamente da un esponente che "vive" con il presidente della Camera. Ovvero con colui che può dirsi a sua volta quasi una diretta emanazione del Colle. E che non si sia una semplice battuta lo si intuisce dalla rilettura delle dichiarazioni dello stesso Fini nella conferenza stampa di due giorni alla nuova sede di Fli. Si capiva che l'ex cofondatore del Pdl avrebbe voluto dire: «Avete visto? Tutto quello che avevo previsto si è avverato... Sul partito, sul governo, sui conti pubblici». E invece Fini è dovuto rimanere con il freno a mano tirato. Suo malgrado. Perché è facile immaginare che questa sia l'indicazione del Quirinale. Niente polemiche, avanti con la Manovra. Niente polemiche su tutto ciò che ha a che fare con l'economia. A cominciare dal relativo ministro. Un po' a sorpresa, sempre due giorni fa, il procuratore capo di Napoli Giandomenico Lepore, un moderato diventato rapidamente un falco anti-politica (tra l'altro lontanamente imparentato con un uomo vicino al Capo dello Stato), faceva sapere che Giulio Tremonti non è indagato e non verrà interrogato a breve. Un comunicato, quello diramato dal capo dei pm partenopei, sotto forma di smentita sebbene nessuno avesse ventilato l'ipotesi di una iscrizione del registro degli indagati del titolare del dicastero di via XX settembre. Ciò che conta è che certamente quella nota deve aver fatto molto piacere a Napolitano, il capo della magistratura. Tremonti è ora più sicuro, ha un asse con Sacconi e nella notte tra mercoledì e ieri ha portato a casa una Manovra che piace tanto al Colle. In commissione Bilancio si diceva per esempio che la norma che estende la tassa al 5% per i giovani che aprono un'impresa era particolarmente gradita al Quirinale. Di certo era stata proposta dal ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, e rilanciata da Tremonti: i due sono in ottimi rapporti da quando sono stati assieme vicepresidenti della Camera. Il provvedimento è invece a dir poco indigesto al Pdl. Per ore Raffaele Fitto e Maurizio Gasparri hanno «duellato» con Tremonti e Roberto Calderoli come se facessero parte di due governi e di due coalizioni diverse, quasi opposte. Nel Pdl la Manovra che è stata approvata è considerata depressiva, che colpisce in pieno l'elettorato di centrodestra. Ma tutti hanno capito che non c'è da protestare quando ieri mattina, poco prima che Tremonti cominciasse a relazionare al Senato, a Zagabria Napolitano ha infranto una regola che si era imposto: mai parlare delle questioni nazionali quando si è all'estero. E così ha spiegato: «Restano questioni aperte dopo l'approvazione domani del decreto del governo. L'accordo sui tempi è stato molto positivo nessuno poteva pensare che ci fosse in quattro e quattr'otto un accordo anche sui contenuti». E soprattutto il vagamente minatorio finale: «Sono convinto che anche per il futuro prossimo occorreranno altre prove di coesione. Realizzare queste prove dipenderà da tutti, maggioranza e opposizione, dai soggetti sociali e da tutte le realtà istituzionali che contano nel nostro Paese». Concetto ribadito pochi minuti dopo anche da Tremonti. Il che farebbe presupporre che è in arrivo un ulteriore provvedimento per mettere a riparo i conti pubblici. Gianni Letta resta più in disparte, i suoi rapporti con il Quirinale non sono più idilliaci. E Berlusconi? Il Cavaliere rilascia un'intervista a Mariarosaria Rossi, deputata romana del Pdl, per il suo magazine dell'Oipa. E dichiara: «Agli italiani con il nostro governo è andata molto bene, da farsi il segno della croce con il gomito come dicono a Milano... Anche per questo dobbiamo continuare a governare noi». Intanto medita una piccola vendetta contro Napolitano: Brunetta alla Giustizia. «Ci mettiamo un bel rompicoglioni, uno che va a vedere quanto lavorano i magistrati, quanto spendono....», s'è fatto scappare con un deputato. In serata Napolitano ribatte: «Il totoministri è da irresponsabili, non ho avuto alcuna proposta». Il Cav tira dritto. Si sarebbe aspettato un Alfano più attivo, che almeno avesse risposto a Fini che lo prendeva in giro: manco quello. Stizza a parte, per ora Berlusconi ha da fare soprattutto con quel macigno dei 560 milioni da pagare a De Benedetti. Si è reso conto che la strategia d'attacco contro i magistrati non gli ha dato nessun frutto. Lunedì è stato sentito litigare furiosamente proprio con Ghedini. Prepara un cambio di rotta: restare sott'acqua. Sparire un po', tornano le feste del sabato sera ma con più morigeratezza. Vuole mostrarsi più disponibile con i pm, mandare agli arresti sia Papa che Milanese (e anche il pd dalemiano Tedesco), andare lui ai processi senza fare comizi. Fare un passo indietro insomma. Se potesse piazzerebbe un uomo suo alla presidenza del Consiglio, un Franco Frattini per esempio. Così da prendersi una sorta di anno sabatico e immaginare un ritorno per quando si andrà a votare.

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