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Noi liberali, pochi ma buoni

Il premier Silvio Berlusconi

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Fossimo negli Stati Uniti avremmo titolato: «What's next?». Cosa c'è dopo? Ma la lingua italiana è dolce e ha bisogno di più battute per cui il nostro titolo è questo: «La manovra c'è, il governo forse». Dopo c'è l'incertezza totale e la tentazione del papocchio tecnocratico. Mentre il Parlamento licenziava una manovra piena di gabelle, il presidente del Consiglio in aula dichiarava: «Resto per ridurre le tasse». Giuro, mi sono stropicciato gli occhi. Berlusconi davvero lo pensa? Perché di liberali in questo governo non ce ne sono e in Parlamento scarseggiano. Questa è la realtà. C'è il partito della spesa, del neocorporativismo, del formalismo contabile, del socialismo irreale, ma non quello liberale. I liberali stanno fuori dal governo e perfino dal Parlamento. Ma nel Paese ci sono. Su Il Tempo hanno liberissima tribuna Antonio Martino, Francesco Perfetti, Davide Giacalone, Marlowe. La battaglia sul Fisco dal volto umano la facciamo qui. Ma non siamo soli e attraversiamo più generazioni. Solo che nel centrodestra non troviamo alcun ascolto e a questo punto poco importa. C'è una tribù senza patria politica in un Paese che ha smarrito la politica. Cito il passo di una lettera di Federico Pontoni, un economista liberale che insegna alla Bocconi, all'amico Oscar Giannino: «Oggi è definitivamente chiaro che liberali e liberisti, se hanno un minimo di amor proprio, devono divorziare da questo governo. Di più, devono scendere in piazza e ricusare un esecutivo che di destra liberale non ha niente». Sì, siamo pochi. Ma buoni.  

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